Le Mosse della Turchia in Siria

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Roma 11 febbraio 2012

In Libia fu la Francia, in Siria sarà la Turchia.

Questa frase di dieci parole potrebbe sintetizzare pagine di analisi, ma non è propriamente così, infatti la Siria non è la Libia di Gheddafi e non c’è un mare a dividere la terra di Siria da quella di Turchia, e dove non c’è un mare di mezzo le scarpe sul terreno, o come dicono gli inglesi i ” boots on the ground”, molto probabilmente ci vanno messe. È questo aspetto che frena Ankara, sommato ad altre due variabili non secondarie.

La prima variabile si chiama Russia e non è una variabile da poco. Ieri 10 febbraio 2012, il vice ministro degli esteri Russo ha dichiarato che forze speciali straniere operano nelle città ribelli siriane e che la Russia è molto preoccupata per questo dispiegamento, poco dopo la Duma, la camera bassa russa, ha votato una risoluzione all’unanimità che chiede alle Nazioni Unite e al Consiglio di Sicurezza, di non prendere posizione nella questione siriana, ritenuta un affare interno di un paese sovrano. Esistono conferme indipendenti che forze speciali russe Russe, sono state riposizionate nella,base di Sebastopoli, pronte ad intervenire in caso di necessità. La presenza di truppe russe sul suolo siriano cambierebbe radicalmente la prospettiva del conflitto.

La seconda variabile non di poco conto è l’apparente determinazione siriana di usare i missili balistici, anche quelli dotati di armi chimiche, contro l’eventuale aggressore turco. Si tratta di missili Scud-B/C/D posseduti nel numero di circa 550 dal regime di Assad, armi che posseggono le caratteristiche per raggiungere le maggiori basi militari della Turchia e nel caso degli Scud-C evoluti anche Ankara e i sobborghi di Istanbul. È molto più facile decidere di attaccare un paese come la Libia, che non può rispondere agli attacchi, rispetto alla Siria in grado comunque di replicare, e con quella assicurazione internazionale estremamente convincente che è il supporto russo.

La sezione di analisi e previsione di GPC ritiene probabile un intervento turco nel nord della Siria, motivato da ragioni umanitarie, come il rifornimento di viveri e medicinali ai profughi in fuga, tuttavia questo dispiegamento potrebbe servire ad indicare la perdita di controllo di Damasco su una importante parte del territorio nazionale. Il primo ministro Erdogan preme per un forte intervento all’interno del territorio siriano. Il ministro degli esteri Devutoglu, oggi a Washington, ha dichiarato che Assad è il Milosevic del medio oriente, e per spodestare Milosevic, anch’esso appoggiato dalla Russia e castigatore dei mussulmani kossovari, servì una guerra. Ma la Russia di allora non è la Russia di oggi, non più disposta a rinunce, non più disposta a subire senza reagire le decisioni prese in America.

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