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Il dilemma di Pechino: soccorrere o no la Russia?

Il dilemma di Pechino: soccorrere o no la Russia?

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Quello che molti analisti (e governi) si stanno chiedendo in questi giorni è se Pechino soccorrerà la Russia.
Secondo voci di corridoio Putin avrebbe chiesto a Xi di fornirgli equipaggiamenti necessari a portare avanti uno sforzo bellico impossibile da portare a termine alle attuali condizioni.
Secondo alcuni rumors Xi sarebbe stato al corrente di quello che sarebbe successo ed appoggia pienamente Mosca, secondo altri sussurri Pechino era all’oscuro dell’ampiezza della “operazione speciale” russa (che noi chiameremo con il suo nome, invasione di un paese sovrano) e c’è stato shock e fastidio per le sconsiderate azioni russe che hanno gettato il mondo in un caos che può facilmente coinvolgere anche l’estremo oriente.

È anche vero che il ministro degli esteri cinese ha affermato che la Cina, sulla questione ucraina, “si trova dalla parte giusta della Storia” e che il tempo lo dimostrerà, una frase che si pronuncia di solito davanti a decisioni o azioni spartiacque.

Non possiamo dirvi quale sia la verità, ma possiamo dirvi quali siano le possibilità più realistiche.

Un motivo molto valido per il quale Xi potrebbe non aiutare Putin è che la fortissima reazione occidentale (assolutamente inaspettata sia a Mosca che a Pechino), che ha letteralmente sommerso di sanzioni la Russia, potrebbe averlo spaventato e spinto ad una profonda riflessione: il decadente occidente non è così debole e diviso come si pensava.

Farsi coinvolgere dalla Russia in una guerra di aggressione potrebbe macchiare per decenni la reputazione cinese, paese che si vanta da sempre di sostenere il principio della non intromissione negli affari interni di un paese (la Russia ha letteralmente invaso un vicino per impedirgli di scegliere il proprio futuro autonomamente), di rifiutare le mire indipendentiste ed autonomiste all’interno di paesi costituiti (sostenere i russofoni del Donbass e della Crimea ma sopprimere Uighuri, Hong Kong e Taiwan?) e di opporsi all’imperialismo (Mosca non è altro che un ex paese coloniale che sta invadendo una “ex colonia”).

Un tale sostegno metterebbe anche a rischio l’economia cinese, con grandi banche e società che potrebbero finire risucchiate nelle sanzioni occidentali. Biden è stato molto chiaro al riguardo, nella sua ultima telefonata con il presidente cinese.

Si tratterebbe inoltre di una sorta di scommessa su un cavallo perdente, visti i magri successi delle forze armate russe e l’accanita resistenza ucraina.

Come l’importante analista cinese Hi Wei ha scritto pochi giorni fa, “la legge della politica internazionale dice che non esistono alleati eterni e nemici perpetui, i nostri interessi sono eterni e perpetui; nell’attuale situazione internazionale la Cina può solo procedere salvaguardando i propri interessi, scegliendo il male minore e scaricando il fardello della Russia il più rapidamente possibile”.

Ma c’è un altro lato della medaglia.
Russia e Cina, nell’ultimo decennio, hanno visto convergere sempre di più i loro interessi, che possono condensarsi in una semplice frase: mettere fine all’attuale ordine internazionale a guida occidentale. Entrambi i paesi ritengono di avere torti storici ed umiliazioni da vendicare, entrambi i paesi sentono che l’ordine mondiale corrente tarpa loro le ali e ne impedisce lo sviluppo.
Entrambi si trovano in grande difficoltà di fronte ad alleanze come la Nato o l’Unione Europea, che impediscono di trattare separatamente con singoli paesi, cosa che rende loro difficile far valere il proprio peso, militare o economico che sia.

Una sconfitta russa, militare ed economica, sarebbe un disastro totale che rinvierebbe l’attuazione di quel piano di decenni: Pechino da sola non ha gli strumenti per ribaltare l’ordine mondiale.

La Cina sarebbe costretta ad un ritorno al buon vecchio “buon viso a cattivo gioco”: dovrebbe tentare di riallacciare buoni rapporti con tutti, dovrebbe rimettere sotto naftalina la “wolf warrior diplomacy” e, di nuovo, nascondere le proprie intenzioni e temporeggiare, secondo gli insegnamenti di Deng Xiaoping. Un’impresa quasi impossibile, dopo quanto detto e fatto in questi due anni di pandemia, in cui la leadership cinese ha mostrato il suo vero volto al mondo intero.

In aggiunta c’è un altro elemento da prendere in considerazione: Se c’è una cosa che a Pechino non piace è l’instabilità; soprattutto se non sono loro ad averla provocata.

Se la Cina non corre in aiuto della Russia, quest’ultima potrebbe essere destinata ad collasso militare ed economico. Il destino di Putin è appeso ad un filo, la sua leadership messa in discussione, l’incombente catastrofe potrebbe spingere qualcuno ad azioni estreme.
Non essendo la Russia un paese con un passaggio di potere democratico, la caduta di un leader significa una sola cosa: instabilità e lotte di potere all’ultimo sangue.
La caduta di Putin provocherebbe effetti completamente e totalmente imprevedibili.
Ricordiamo che Russia e Cina condividono 4.300 km di frontiera, molti, troppi km da avere in comune con una potenza nucleare messa in palio in una lotta senza quartiere tra eminenze grigie ed oligarchi.

C’è poi l’ipotesi peggiore per Pechino: il Cremlino finisce nelle mani di una fazione che vuole riallacciare i rapporti con l’Occidente. Un incubo che diventa realtà, Pechino si troverebbe non solo isolata, ma circondata.

Riprendendo la metafora della corsa di cavalli, la Russia di Putin potrebbe essere un cavallo perdente, ma secondo la mentalità cinese è meglio scommettere su un cavallo malaticcio che conosci piuttosto che su uno di cui ignori molto se non tutto

Il futuro del nostro mondo letteralmente dipende anche da questa scelta.