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La Comunicazione nel tempo digitale: intervista all’ On. Antonio Palmieri

La Comunicazione nel tempo digitale: intervista all’ On. Antonio Palmieri

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Ospitiamo oggi una breve (ma intensa) intervista con l’On Antonio Palmieri che ha catturato la nostra attenzione in passato per la sua attività di parlamentare in tema di Cyber Security e che oggi ha pubblicato un libro sulla comunicazione politica (Internet e comunicazione politica. Strategie, tattiche, esperienze e prospettive), che introduce concetti molto interessanti. L’On. Palmieri ha quindi accettato di rispondere ad alcune nostre domande, eccole insieme alle sue risposte. Buona Lettura.

GPC: On. Palmieri a volte notiamo uno scollamento tra mondo reale e mondo digitale, non sempre la comunicazione politica nel mondo digitale riesce poi ad affermarsi come consenso nel mondo reale, vorremmo la sua opinione.

AP: Su questo aspetto particolare dobbiamo ricordare che da un punto di vista culturale mondo reale e mondo digitale ormai sono fusi tra loro, ed il problema del “travaso dal mondo digitale al mondo reale” non esiste più, anzi spesso la rete ed il mondo digitale hanno intercettato con maggiore accuratezza, e con grande rapidità, il sentimento del corpo elettorale. Le categorie di fondo che guidano la comunicazione politica sono le stesse in ambedue i mondi nei quali oggi siamo immersi, certo la rete ha i suoi strumenti specifici, ma le categorie di fondo della comunicazione sono le stesse.

GPC: …Quindi i cittadini oggi si sentono più liberi di esprimere le loro vere opinioni, politiche, culturali e personali, più sulla rete che rispondendo ad un sondaggista, che li interpella per conto della Politica o dei Media Tradizionali, in particolare per quella fetta di elettorato che condivide le idee “politicamente scorrette?

AP: Si, assolutamente, spesso le persone si sentono più libere di esprimere la loro opinione on line, anche in modo non elegante, a volte rozzo, e con toni e vocaboli che non userebbero mai di persona. Queste persone di fronte ad un sondaggio non si sentono altrettanto libere, oppure, intenzionalmente rispondono al sondaggio alterando il loro pensiero. Se un cittadino è veramente arrabbiato nei confronti dell’establishment può avere anche il desiderio di determinare il fallimento di uno strumento classicamente legato alla raccolta del consenso, qual è il sondaggio.

GPC: Nelle elezioni americane questo dato è emerso chiaramente, la partecipazione e l’interazione degli utenti della reta agli eventi on line di Trump era esternamente superiore a quella degli eventi di Hillary Clinton.

AP: si questo È stato un elemento sottovalutato da molti. I media tradizionali e l’establishment non hanno preso Trump sul serio, ma hanno interpretato le sue frasi della lettera; al contrario gli elettori lo hanno preso sul serio, e non hanno interpretato le sue frasi alla lettera.

GPC: esiste nei partiti la volontà di seguire l’evoluzione della rete e degli elettori che esprimono il loro consenso e i loro bisogno attraverso internet?

AP: la volontà esiste quella che manca è la cultura e la esatta comprensione del web. Ci si affida ai commenti dei media, a loro volta spesso sommari e imprecisi. Servono investimenti economici e in persone, serve capire che il web è un formidabile luogo di ascolto, occorre comprendere che internet necessita di tempo e pazienza, fattori che mancano in politica.

GPC: il Deep Web è un luogo dove è possibile, per chi ne ha la voglia o la necessità, trovare istruzioni per compiere attentati terroristici, reclutare combattenti per il Jihad, ricevere indicazioni e materiali per compiere attività illecite o terroristiche. Il legislatore sta cercando di normare e regolare il Deep Web?

AP: AP Premetto che sono contrario a leggi speciali per internet, in quanto i reati sono già tutti codificati, però è vero che di Deep Web parlano solo pochi specialisti. Dobbiamo supportare attività investigative, di controllo, di infiltrazione, proprio così come si fa con le normali attività polizia. Non serve una legge speciale per il Deep Web, serve dare più forze più poteri a quella che impropriamente è detta polizia postale, e servono più strumenti servizi segreti; ciò vuole dire dare più risorse tecnologiche e capacità di tradurre in tempo reale da lingue sensibili come l’arabo ad esempio.
Questo serve. E su questo non vedo da parte del governo un’azione incisiva. Io ho presentato un’interrogazione per chiedere come fossero stati spesi i 150 milioni destinati alla Cyber Security, mi è stato risposto che quindici erano stati destinati al ministero degli interni e che 135 erano stati destinati ai Servizi e la loro allocazione era segreta. La questione vera capire è se questi fondi siano effetti già arrivati pure no a chi deve spenderli per proteggere il paese.
Altro punto importante che vogliamo approfondire è capire come ci vogliamo porre in vista del G7 Taormina, se è intenzione dell’Italia proporre un patto alle altre potenze in tema proprio di Cyber Security

GPC: da tempo il nostro gruppo propone la revoca della cittadinanza per quelle persone che si siano arruolate, come combattenti, in formazioni militari o paramilitari di entità non statuali riconosciute come organizzazioni terroristiche. Qual’è la sua posizione in merito?

AP: Mi sembra una proposta che ha una sua ragion d’essere, in particolare per il terrorismo islamista. Queste persone non condividono i valori che sono alla base della nostra società anzi combattono per abbatterla, in questo caso la cittadinanza non è un diritto acquisito irrevocabile, revocare la cittadinanza a queste persone impedirebbe a loro di poter ritornare all’interno dell’Unione Europea una volta terminata l’esperienza da combattente in teatro di guerra.