La rivoluzione in Egitto una vittoria dei sauditi

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Il nuovo Egitto, l’Egitto che sorge dopo la parentesi, non certo chiusa il 3 luglio, dei Fratelli Mussulani al potere è un Egitto che potenzialmente si riposizionerà nello scacchiere geopolitico molto più vicino all’Arabia Saudita. L’esautoriazione di Morsi dalla presidenza egiziana è innanzitutto una vittoria per la casata degli Al Saud e allo stesso tempo una cocente, ennesima, delusione per l’America di Obama.
Durante il suo famoso discorso al Cairo, tenuto dopo la sua prima elezione a presidente, Obama ha dato il via alla nuova politica Usa in Medio Oriente, una politica che ha causato direttamente la caduta di Mubarak e la presa del potere da parte della fratellanza. La stessa politica che ha determinato la fine di Gheddafi e il caos esistente nella Libia di oggi. La stessa gestione del Medio Oriente, superficiale e con la diplomazia non supportata dalla forza militare, che ha causato la morte dell’ambasciatore ameiricano in Libia, uno stallo nella guerra in Siria che sta causando più di centomila morti, la medesima mancanza di visione strategica che ha fatto puntare tutto su Morsi e sui Fratelli Mussulmani. L’America era così sicura della stabilità del potere di Morsi che il 16 giugno l’ambasciata americana del Cairo rilasciò un comunicato che affermava la scarsa probabilità di proteste efficaci contro il governo egiziano in carica e il suo presidente.
Da sempre contrari a questa visone sono stati i sauditi, in particolare dopo i tentativi di avvicinamento tra i fratelli Mussulani egiziani e la teocrazia sciita iraniana. Subito dopo la rivoluzione, nonostante le differenza di visione sulla crisi siriana, Iran e Egitto hanno ristabilito normali relazioni diplomatiche e i due presidenti si sono scambiati inviti di visite ufficiali. Navi militari irianiane, dopo quasi trenta anni, sono tornare ad attraversare con regolarità il canale di Suez e il Sudan; condizioni che limitavano l’influenza saudita in tutta la regione del Magreb e dell’Africa orientale.
I sauditi si sono separati dalla strategia americana, così come gli americani non si sono voluti impegnare al fianco dei sauditi nella guerra di Siria. I sauditi hanno fornito copertura mediatica ai rivoltosi con la loro tv pubblica Al Arabyia e hanno dato legittimazione a gran parte del mondo sunnita che voleva ostacolare la fratellanza.
Ora in Medio Oriente la posizione degli Stati Uniti è ancora più debole, forse ai livelli più bassi dalla seconda guerra mondiale; ora nel Golfo Persico chi indicherà il tempo della diplomazia o delle armi, in particolare per quanto riguarda la questione iraniana, potrebbe essere proprio Riad.