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LA VIOLAZIONE DEI DIRITTI DELLE MINORANZE RUSSE IL CASO DEL BALTICO E DELL’UCRAINA

Estonia

Ospitiamo oggi il post di un nostro lettore, Marco Bordoni, sulla situazione delle popolazioni russe nel Baltico.

Se la guerra in corso contro l’insorgenza del Sud Est dovesse concludersi vittoriosamente (un esito ad oggi tutt’ altro che scontato) il governo di Kiev (e con esso l’Unione Europea e la NATO) si troverebbero a gestire una numerosa minoranza interna di russi (circa un settimo degli abitanti del paese) nucleo di una quota di popolazione ancora più grande (circa due quinti) russofona e con una identità mista, largamente influenzata dai legami economici, storici e culturali con l’ingombrante vicino. Una minoranza umiliata, smarrita e schiacciata dalla guerra, la cui reazione emotiva ad una eventuale sconfitta sarebbe imprevedibile.
Certo, i russi ed i russofoni d’Ucraina potrebbero pensare che l’avvicinamento del paese alle istituzioni liberali europee ed atlantiche costituisca per loro una garanzia di pieno rispetto dei loro diritti economici, civili e politici. Ma è veramente così? I paesi che entrano nella famiglia europea garantiscono e rispettano i diritti delle minoranze russe?
Oggi vogliamo parlare di un precedente, un precedente pressoché sconosciuto in Europa (ma non in Russia), e molto poco rassicurante per gli ucraini orientali; un caso che è difficile non paragonare all’apartheid o alla segregazione, una macchia sulla credibilità di tutto l’occidente: il caso degli”Alieni”, dei Non Cittadini di Estonia e Lettonia.
ANTEFATTO STORICO Quando, alla fine della seconda guerra mondiale, Estonia e Lettonia ritornarono sotto la sovranità di Mosca, i russi residenti nelle due repubbliche (immigrati al tempo della industrializzazione zarista ed esuli in fuga dalla rivoluzione di ottobre) erano poco meno del 10% della popolazione. L’occupazione sovietica favorì l’allargamento di questa comunità, che venne incoraggiato con una precisa politica mirante a rafforzare, tramite incentivi, il controllo sulla regione diluendone l’omogeneità etnica. La tendenza proseguì dopo la morte di Stalin grazie alla naturale mobilità interna, alla migliore performance demografica della minoranza russa ed all’elevato tenore di vita nelle repubbliche baltiche, ben finanziate dal potere centrale in ossequio ad una oculata politica di unità nazionale. Come risultato alla vigilia della dichiarazione di indipendenza delle Repubbliche baltiche gli assetti demografici erano radicalmente mutati: in Lituania, secondo il censimento del 1989, vivano oltre 900.000 russi, pari al 36% della popolazione. I Lituani erano poco meno di 1.400.000, ovvero il 55%. In Estonia , alla stessa data, i russi erano 475.000 (ovvero il 30% della popolazione) e gli Estoni poco meno di un milione (il 50%).
LA DISSOLUZIONE DELL’ UNIONE SOVIETICA La dissoluzione dell’Unione Sovietica lasciò in eredità agli stati epigoni un grave problema nazionale. Così come la Jugoslavia, l’Unione Sovietica aveva organizzato i confini interni secondo linee generalmente sfavorevoli alle etnie dominanti: come risultato circa 25 milioni di russi si trovarono a vivere al di fuori dei confini della Federazione. Sebbene le comunità più numerose fossero quelle residenti in Ucraina (oltre otto milioni) ed in Kazakistan (circa cinque milioni) la politica di relativa unità nazionale adottata dai primi governi indipendenti di quei paesi consentì alle minoranze di integrarsi in maniera indolore. Tutti i governi (compreso quello Lituano, alle prese con una minoranza russa meno numerosa) concessero la cittadinanza nazionale all’intera popolazione residente, purché già cittadina sovietica secondo il principio di jus soli. Non così i governi Estone e Lettone, che, con grande sconcerto della minoranza russa, nel 1991 vararono una legislazione sulla cittadinanza che la riconosceva per jus sanguinis solo ai discendenti delle persone residenti nel paese il 16 giugno 1940 (data della occupazione sovietica, 51 anni prima). Una scelta senza precedenti noti nella lunga storia delle variazioni territoriali europee, salvo che per la riconquista francese dell’ Alsazia Lorena dopo la prima guerra mondiale. La Francia riconobbe la cittadinanza ai soli residenti già presenti nella regione nel 1871 (47 anni prima) ed ai loro discendenti: con tutto quanto ne seguì in termini di risentimento e di desiderio di rivalsa nella nazione umiliata. Ma torniamo ai paesi Baltici. Per effetto di queste leggi, 715.000 abitanti della Lettonia (circa tre quarti della comunità russa ed oltre un terzo del totale della popolazione residente) e 290.000 abitanti dell’Estonia (due terzi di russi, un quarto della popolazione) precipitarono nella condizione di “Nepilsoni” (Lettonia) o ”Kodakondsuseta isik” (Estonia) ovvero “Non Cittadini”. Una categoria di residenti priva di diritti politici e di molti diritti economici, sociali e culturali.
LO STATUS DI NON CITTADINO Cosa significa essere “Non Cittadini”, o “Alieni” come comunemente detto? Possiamo raggruppare le conseguenze in tre grandi gruppi: politiche, economiche e culturali. A livello politico gli Alieni non sono né cittadini, né stranieri, né apolidi. Possono soggiornare legalmente sul territorio nazionale senza alcun permesso di soggiorno. Non possiedono diritti elettorali attivi e passivi (nazionali ed europei), e non possono formare partiti politici. Possono votare alle elezioni municipali. Possono aderire ad ONG e partiti politici nazionali, ma questi non possono essere costituiti da “Alieni” per una quota superiore alla metà degli iscritti. Possono circolare liberamente all’interno dell’Unione Europea. Molti paesi Extra Europei consentono il libero ingresso ai cittadini Estoni e Lettoni, mentre richiedono il visto agli “Alieni”. Al contrario la Russia, paese che richiede visto di ingresso ai cittadini, riconosce diritto di transito libero agli “Alieni”. A livello culturale la politica linguistica è particolarmente vessatoria. Non esistono leggi che garantiscono i diritti della minoranza russa né a livello nazionale né a livello locale (nemmeno nelle regioni in cui la maggioranza russa sfiora il 100%, come quella di Narva in Estonia. In Lettonia (ma l’ordinamento estone è simile) la costituzione stabilisce che l’unica lingua ufficiale è il lettone (art. 114), mentre tutte le altre lingue (compreso il Russo, lingua madre di un terzo degli abitanti nel 1991) sono espressamente bollate come “lingue forestiere”. Persino il Livone, una antica lingua che registra ad oggi 6 (sei !) parlanti ha la precedenza sul russo. I nomi russi nei documenti sono naturalizzati e così i toponimi. I canali televisivi possono trasmettere documenti in lingua russa solo se recanti sottotitoli nelle lingue baltiche di trasmissione. In Lettonia, dal 2004 le scuole superiori russe, alcune esistenti dal 1789, sono state costretta a chiudere, ovvero a trasferire il proprio insegnamento in lingua lettone perlomeno nel 60% delle ore di lezione. Precisi divieti limitano il diritto dei privati di esporre cartelli ed annunci in “lingua forestiera”. A livello economico sono precluse agli “Alieni” 24 posizioni professionali pubbliche, ovvero (a titolo esemplificativo) oltre a tutti gli uffici pubblici elettivi: la magistratura, la direzione delle imprese di stato, la polizia, la guardia di finanza, la guardia doganale, la polizia penitenziaria, il corpo dei pompieri, l’esercito, l’ispettorato del lavoro. E’ inoltre vietato l’accesso a professioni private quali (sempre a titolo esemplificativo) l’avvocatura, il notariato, le agenzie investigative, le agenzie di sicurezza private, le consulenze private per l’amministrazione e l’esercito. Sono limitati i diritti di acquisizione degli immobili. Gli anni di lavoro svolti prima dell’indipendenza non sono computati ai fini pensionistici. Non è ammesso il porto d’armi. Emerge quindi un panorama di grave discriminazione: un sostanziale apatheid legalizzato ed accettato dalle istituzioni nazionali ed europee.
IL LENTO PROCESSO DI NATURALIZZAZIONE In seguito alle raccomandazioni del Consiglio di Europa e dell’OCSE, entrambi i paesi baltici hanno avviato un lento processo di naturalizzazione, che sta producendo una progressiva riduzione del numero di “Alieni”. Una serie di interventi normativi nel passato ventennio hanno progressivamente allargato le maglie del processo di acquisizione della cittadinanza, semplificando gli esami linguistici e culturali. I requisiti richiesti ad oggi sono: 1) 5 anni di residenza; 2) superamento di esame di lingua estone e lettone; 3) superamento di un quiz sulla storia e le istituzioni del paese (quiz che richiede, fra l’altro, la descrizione del periodo Sovietico come “invasione” ed “occupazione”); 4) conoscenza dell’inno nazionale. Non sono ammessi all’esame gli ex militari di “eserciti stranieri” (ovvero le molte decine di migliaia di addetti che lavoravano nelle basi militari ex sovietiche), le persone “implicate nella propaganda fascista e comunista” e le persone “ostili alla nazione”, espressione ellittica con cui possono essere ricompresi praticamente tutte le persone impegnate politicamente a favore dei diritti della minoranza russa. Nonostante questo processo abbia avuto un certo successo nello scorso decennio, oggi le domande di naturalizzazione si sono praticamente arrestate. Secondo i sondaggi le principali motivazioni per cui gli “Alieni” superstiti non desiderano accedere alla naturalizzazione sono: 1) una questione di principio; 2) attesa di ulteriori semplificazioni; 3) necessità di entrare in Russia senza visto; 4) sfiducia nella propria capacità di superare il test linguistico;
I NON CITTADINI OGGI A ventitre anni dall’ottenimento dell’indipendenza da parte di Estonia e Lettonia, 290.000 lettoni (il 13% della popolazione) e circa 90.000 estoni (l’8% del totale) sono ancora relegati nello status di non cittadinanza. Sono persone che hanno trascorso una parte considerevole della propria vita senza diritti e senza che il paese in cui abitano e per cui hanno lavorato e pagato le tasse li riconosca come membri della collettività. Di più: con la naturalizzazione della parte più giovane ed istruita della minoranza russa (quella in grado di imparare lingue come il Lettone e l’Estone, che, in quanto ugro finniche sono estremamente difficili per un parlante una lingua slava) gli “Alieni” anziani e con un basso livello di istruzione si trovano ormai prigionieri del limbo della “non cittadinanza”, una condizione discriminatoria in cui resteranno intrappolati per il resto della vita.
LA NON CITTADINANZA: UNA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI, UN DISEGNO POLITICO DI SUCCESSO: A quasi un quarto di secolo di distanza dall’indipendenza, possiamo trarre un bilancio sulle politiche di cittadinanza tenute dagli stati baltici. A dispetto della loro natura palesemente persecutoria (ed anzi proprio grazie a questa), la politica di emarginazione tenuta ha conseguito tutti i risultati sperati:
1) L’espulsione di una quota enorme della popolazione residente dal sistema elettorale e democratico, in anni in cui sono state effettuate scelte cruciali per il destino delle due nazioni. L’Estonia e la hanno aderito alla NATO ed all’Unione Europea nel 2004, alla Zona Schengen nel 2007 ed alla zona Euro nel 2011 (Estonia) e 2014 (Lettonia). Questo processo è avvenuto senza che gli “Alieni” potessero partecipare in alcun modo alle scelte decisionali;
2) La frammentazione della comunità russa in diversi segmenti identitari: i naturalizzati, coloro che risiedono legalmente ma che hanno optato per la cittadinanza russa, gli “Alieni”. Queste comunità sono portatrici di interessi parzialmente diversi e nessuna di esse riesce a raggiungere una “massa critica” sufficiente ad incidere realmente nel processo decisionale;
3) L’espulsione di fatto di una quota sostanziale della minoranza russa. I russi residenti in Lettonia sono passati, negli ultimi 23 anni, da 905.000 (36% della popolazione) a 520.000 (26%). Quelli residenti in Estonia, nello stesso periodo, sono passati da 475.000 (30%) a 320.000 (24%). Molti di questi russi sono passati nella Federazione, altri, particolarmente molti “Alieni”, si sono trasferiti in altri stati dell’Unione Europea (principalmente Gran Bretagna ed Irlanda).
4) La disgregazione della identità politico e culturale della minoranza russa. La condizione di “cittadini di serie B” espressa simbolicamente dalla scritta “ALIENO” sul passaporto, ha prodotto, in quella che ai tempi dell’URSS era la classe dirigente del paese, prevedibili meccanismi culturali di rifiuto della propria identità e di complesso di inferiorità, che consentono hanno consentito l’assimilazione e la cancellazione di tratti politico culturali indesiderati;
BALTICO E UCRAINA: SOMIGLIANZE E DIFFERENZE. E’ possibile, ed anzi probabile, che le nuove autorità ucraine tengano nei confronti della popolazione russa e russofona un atteggiamento almeno parzialmente sovrapponibile a quello già sperimentato con successo dalle elite filo atlantiche dei paesi baltici. Ovviamente non sarà possibile creare un gruppo giuridicamente “alieno” in Ucraina, stante il fatto che la minoranza russa del paese ha già ottenuto la cittadinanza ucraina nel 1991, avendo il paese optato per un sistema di jus soli. Del resto la minoranza russa in Ucraina, pur essendo numerosa in termini assoluti (circa sei milioni e mezzo, dopo la perdita della Crimea) non rappresenta una quota di popolazione elevata come quella esistente nei paesi baltici dopo l’indipendenza. La presenza insidiosa per nuovo potere di Kiev, retto su una precaria legittimazione, è quella identitaria, essendo la parte sud orientale del paese legata alla Russia da vincoli storici, economici e culturali difficili da recidere in un contesto di pieno rispetto dei diritti delle minoranze. La politica discriminatoria potrà essere attuata (e già se ne intravedono le linee guida) in ambito economico culturale e politico. Si esaminino questi provvedimenti: il 22 luglio la Rada, nella sua sola componente costitutiva l’ex minoranza, ha sancito la messa al bando del Partito Comunista, una organizzazione politica che raccoglieva circa il 20% dei consensi nel sud est, ed oltre il 13% a livello nazionale. E’ stato così cancellato un prezioso collettore identitario della minoranza. Quanto alle politiche linguistiche, l’abrogazione della controversa legge sui diritti linguistici delle minoranze nelle regioni miste è stata uno dei primi provvedimenti del nuovo potere in febbraio, assieme all’oscuramento delle emittenti televisive russe sul territorio nazionale. A livello didattico già da tempo la preferenza linguistica per l’ucraino e la revisione storica a favore di tesi nazionalistiche si sono affermate nelle scuole del paese. Non sarà quindi la leva della cittadinanza, ma la bensì quelle dell’esclusione linguistica, della egemonia culturale e della limitazione dei diritti politici di associazione e la risoluzione dei legami commerciali con la Russia lo strumento che il potere filo occidentale utilizzerà per forzare il riallineamento identitario, politico ed internazionale del paese.
I cittadini ucraini russi e russofoni hanno tutte le ragioni per temere il futuro.