Home Attualità L’attacco economico alla Russia: mezzo per un “Regime Change”?
L’attacco economico alla Russia: mezzo per un “Regime Change”?

L’attacco economico alla Russia: mezzo per un “Regime Change”?

84
19

La Russia è oggetto di un fortissimo attacco, un attacco portato non con carri armati, bombardieri o missili, ma un attacco portato con gli strumenti della finanza globale e il controllo mondiale del commercio e delle valute.
Abbiamo assistito al crollo del prezzo del petrolio, al crollo della borsa di Mosca, alle sanzioni contro banche, personaggi e società russe, al conseguente crollo del rublo e al notevole aggravio per le aziende, ed i privati cittadini russi, che debbono acquistare merci e tecnologia al di fuori della Federazione, con la concreta prospettiva di una recessione economica nel 2015 nella Federazione Russa, il cui prodotto interno lordo era previsto fino a 9 mesi fa in crescita dell’1,5% per il prossimo anno, mentre le ultime stime annunciano un calo dello 0,8% del PIL russo.
Secondo il nostro gruppo queste manovre non sono funzionali solamente a mettere in difficoltà la nazione russa, ma sono un mezzo per screditare e successivamente scardinare il sistema di potere che vede nel presidente Vladimir Putin il fulcro principale. Secondo la nostra teoria le sanzioni mirano a ridurre le spese sociali della Federazione, ridurre il sostegno governativo alle famiglie, alla scuola e all’istruzione, ridurre il potere di acquisto dei russi e generare il nucleo dello scontento sociale che poi può sfociare nella protesta di piazza, spontanea o “incoraggiata” che sia.
Inoltre la riduzione delle entrate in valuta potrebbe incidere sulla capacità di Mosca di controllare la propria stessa periferia, remota ed eterogenea. Per capire quello che intendiamo occorre spendere qualche parola sulla prassi di governo russa, ed in particolare sugli strumenti da sempre utilizzati dal Cremlino per gestire lo spinoso problema delle nazionalità minoritarie. Sin dai tempi della rivoluzione d’ottobre, Mosca lega a sè le minoranze etniche rinconoscendo loro ampie autonomie amministrative, a cui gestione viene delegata a dirigenze locali leali che gestiscono nell’interesse proprio e della popolazione che rappresentano un generoso flusso di investimenti e finanziamenti stanziati dal governo centrale. Ovviamente questo sistema entra in crisi quando il flusso si riduce o addirittura si azzera, perchè la classe dirigente locale può facilmente revocare la propria lealtà al governo centrale trovandosi uno stato nazionale già “preparato” dalle stesse autorità russe. Questo meccanismo si rivelò letale per l’Unione Sovietica quando, nel 1986, il prezzo del petrolio scese sotto i 10 dollari al barile e i dirigenti di partito dei paesi del Patto di Varsavia prima e delle repubbliche federate poi, dimenticati dal governo centrale, si convertirono repentinamente al nazionalismo. Numerosi studiosi ritengono che anche allora gli Stati Uniti agirono sulla leva petrolifera per innescare una crisi sistematica nel grande rivale.
Una situazione per certi versi simile potrebbe ripetersi ora. E’ vero che oggi la Russia pare meno eterogenea ed in grado di controllare meglio le spinte secessioniste, e tuttavia il ridursi delle disponibilità economiche potrebbe risvegliare il demone sopito delle rivendicazioni nazionali. Peccato che la medesima situazione di riduzione della spesa sociale, riduzione del sostengo del governo alle famiglie, taglio alla scuola e alla sanità e la riduzione del potere di acquisto dei lavoratori si stia osservando anche nel nostro paese, nonostante l’Italia sia un “alleato” delle potenze globali che sono oggi in grado di dirigere la finanza ed il commercio mondiale.
Alleati di potenze globali che non hanno sorretto il premier italiano Berlusconi nel 2011. Anzi, in quegli anni la leva finanziaria, lo “spread”, il fantasma del Default sono stati utilizzati contro l’Italia e contro il primo ministro dell’epoca che forse si era allontanato troppo rispetto ai progetti di paesi che volevano e vogliono ridurre la nostra sovranità e non permettere all’Italia di decidere in relativa autonomia la nostra politica estera ed economica. E questo fatto emerge prepotentemente dalle dichiarazioni di Timoty Geithner ex segretario al tesoro Usa1.
L’aver perso la nostra sovranità monetaria, aver rinunciato alla nostra indipendenza politica e culturale, aver dimenticato, a volte con vergogna, la nostra storia e la nostra cultura in nome di una globalizzazione del pensiero e delle società, non ci ha risparmiato, seppur più dilazionato nel tempo, la guerra finanziaria che tocca oggi alla Federazione Russa. Nel caso dell’Italia la guerra finanziaria ebbe però successo e si ottenne il “Regime Change”, il governo Berlusconi (filorusso, vicino a Gheddafi e all’Egitto di Mubarak, ostile alla politica isolazionista e rivolta unicamente allo sviluppo dell’area pacifica dell’amministrazione Obama).
Dubitiamo invece che l’offensiva della finanza globale possa portare alla caduta di Vladimir Putin, mentre potrebbe rimuovere i residui freni inibitori del presidente russo, ed aumentare proporzionalmente le possibilità di azioni “di forza” della Federazione Russa nei vari scenari di conflitto presenti nelle aree della geopolitica più care al Cremlino.
Per quanto riguarda il nostro paese dobbiamo al più presto recuperare la sovranità a cui abbiamo rinunciato negli anni e ancora di più riprendere possesso di una identità culturale, linguistica, storica e di tradizioni ormai persa nell’oblio di un mondo globale. Solo l’identità di un popolo può garantire lo sviluppo della società, l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, la solidità dello stato sociale, e la crescita demografica.

1. (http://www.corriere.it/economia/14_maggio_13/geithner-nel-2011-trama-europea-far-cadere-berlusconi-9fae6c54-da81-11e3-87dc-12e8f7025c68.shtml)

tags:

Comment(19)

  1. Articolo praticamente perfetto.
    Io però toglierei quel punto di domanda alla fine del titolo.

  2. Recuperare la nostra sovranitá?
    Cero, sarebbe una grande conquista e una grande vittoria molto maggiore di quella della resistenza e dei partigiani nella seconda guerra mondiale.
    Peccato che in Itaglia ci sia una classe dirigente allattata dal mito della menzogna degli eroici boys.

    1. Mi spiace veramente dover leggere il commento di una persona che oggi ha la possibilità di pensare e scrivere grazie a quei partigiani della resistenza italiana che sono stati i più grandi esempi di fedeltà alla Costituzione. E’ stata una grande vittoria e lo sarebbe altrettanto se oggi gli italiani, invece di andare a votare in cambio di qualcosa, andassero a votare scegliendo il rappresentate che maggiormente intende adempiere ai dettami della Costituzione. Senza questo presupposto, ogni azione che un cittadino compie è puro e semplice brigantaggio.

  3. In Svizzera, Austria, Germania,Spagna, Portogallo, Brasile e via di seguito i partigiani non hanno vinto niente.
    Sará per quello che li la stampa é libera e in Itaglia molto meno?

  4. In altre occasioni sono stato d’accordo ma ora non sono proprio d’accordo con voi in questa analisi.

    Due punti

    Il primo sul gruppo dirigente russo. Loro si sono isolati dalla comunita’ internazionale. Hanno fatto precise scelte che hanno determinato l’interruzione della collaborazione piena con la UE.
    E’ credibile riconoscere l’uso delle armi in politica fino al punto di annettere territorialmente un pezzo di stato sovrano? Secondo me no ed e’ giusto che ora ne paghino le conseguenze.

    Il secondo, l’Italia. Non è la UE che ci ha imposto la classe dirigente che abbiamo (vedi Roma). I problemi nostri è il caso di risolverli da noi prima di cercare altri colpevoli.

    Alessandro.

    1. Ragioni, consentimi, con gli schemi della propaganda occidentale. Se solo cambiassi prospettiva ti accorgeresti che è in atto un tentativo folle e disperato di sottomettere Russia e Cina agli interessi del Capitalismo angloamericano. Naturale che due grandi Paesi, mica Libia e Iraq, oltretutto potenze nucleari, resistano. E poi in bancarotta siamo noi, non loro.

      1. Ma perchè si parla sempre di capitalismo angloamericano? Il capitalismo non ha identità e in Russia e Cina c’è molto più capitalismo che nelle regioni occidentali. La differenza, rispetto a quello occidentale, è che risulta concentrato in pochi.

  5. Per quanto riguarda l’Italia la colpa è nello stesso popolo italiota.

    Per quanto riguarda la Russia mi sorge una domanda: il popolo russo crede che con un nuovo governo vivrebbe meglio? O se cadesse il Putin-sistema si creerebbe un governo filo-occidentale come con Eltsin? Li andarono veramente in rovina.
    Ho azzardato a dire che Eltsin era filo-occidentale ma non si è mai posto in contrasto netto con gli USA ed ha svenduto a 4 gatti le ricchezze del Paese favorendo l’egemonia mondiale americana.

    1. questa è la vera domanda da farsi

      ammesso e decisamente non concesso che quelle sanzioni che ottant’anni fa hanno fatto tutto meno che abbattere mussolini, oggi facciano cadere putin, chi, guardando solo da fuori, si sente di scommettere che il successore possa essere più amico dell’occidente?

      noi occidentali abbiamo l’orrenda abitudine di considerare gli immigrati come se fossero il Popolo del paese d’origine

      è ovvio che fra i cubani di miami cinquant’anni fa e fra quelli iraqueni di dieci il 99,9% fossero antigovernativi e filoamericani…ce lo ricordiamo cosa è successo quando quei “governi in esilio” sono stati portati veramente alla prova sul campo, fra il loro popolo?

      IO non ho alcuna voglia di controllare se oggi abbiano imparato a far di meglio, tantomeno vedendo come il premio nobel per la pace se la cava negli altri campi di battaglia, militari e non, che ha aperto in questi sei anni

      1. Concordo con entrambi, pur concedendomi due distinguo.

        In realtà a mio giudizio, non fu Eltsin filo-occidentale, ma soltanto incapace.
        L’Unione Sovietica del dopo Stalin, nel nome d’un non meglio specificato egualitarismo e socializzazione delle cariche di potere, ha portato al governo supremo personaggi incresciosi e incredibilmente incapaci, dal semi-analfabeta Khruscev al nepotista Breznev, fino al cagionevolissimo Cernenko, vissuto meno d’una sua riforma.
        Più che una marionetta nelle mani occidentali, che l’avrebbero sicuramente reso migliore e più utile, Eltsin fu l’ennesimo incompetente, chiamato a gestire una situazione immensamente più drammatica delle sue scarse capacità diplomatiche e della sua evanescente lucidità. A mio giudizio, il vero responsabile della drammatica malversazione delle risorse russe fu il ministro Yegor Gaidar, con la sua “shock therapy” del capitalismo di stato sovietico, mutuata senza colpo ferire dalla scuola anglosassone, e inapplicabili senza provocare ripercussioni drammatiche in un sistema avvitato su se stesso.

        Invece, non credo che saranno le sanzioni di per sé a far cadere Putin: se mai cadrà, sarà a causa del tradimento del sistema di potere che egli stesso ha creato, e di cui è ad un tempo tanto arbitro che partecipante in campo. Agli oligarchi, ai loro hedge fund e alla borghesia imprenditoriale russa importa poco o nulla di Novorossia, Crimea e dell’Unione Euroasiatica medesima, se non in funzione di quanto questi ne possano guadagnare.
        Così come le lobby petrolifere hanno abbandonato la dinastia Bush quando hanno realizzato come l’imposizione d’un nuovo ordine americano in Iraq fosse irrealizzabile, gli oligarchi, ipotizzo, non si faranno alcuno scrupolo a pugnalare – materialmente o meno – Putin alle spalle, una volta che la situazione del paese dovesse degenerare al punto da mettere a rischio i loro capitali.
        L’oligarchia sovietica governata da Putin funziona in virtù del fatto che l’egoismo e il potere di ogni singolo autocrate sancisce una alleanza solo formale tra gli stessi, e tutti sono pronti a spolparsi vicendevolmente alla prima occasione concessa; nessuno fiatò per la sparizione di Berezovskij, né alcuno mosse un dito per sostenere Khodorkovskij, perché l’interesse degli altri attori era di eliminare la concorrenza in ogni modo, al fine di guadagnarsi il favore dell’arbitro Putin e accumulare ulteriore capitale (curioso, tra l’altro, che coloro i quali denunciano l’imperialismo capitalista americano non si scandalizzino per l’osceno imperialismo capitalista russo, in patria assai più degenere, violento e feroce del corrispettivo yankee).
        I sistemi basati sulla corruttela sono facilmente infiltrabili e manovrabili: la mia ipotesi è che Putin non sarà in grado non di tenere testa al crollo del welfare, a cui i Russi sono notoriamente avvezzi, bensì alla fame di denaro di potentati economici per cui il “mondo russo”, con tutta la sua accozzaglia di retoica neozarista, è soltanto un business, da valutare come tale.

        1. Hai ragione, l’imperialisti capitalisti russi sono anche più propensi alla violenza fisica rispetto ai corrispettivi americani. Ma c’è una differenza sostanziale:
          quelli russi agiscono prevalentemente in Russia e fanno danno in Russia. Quelli americani saranno anche più “raffinati” ma pretendono di imporre il proprio impero anche ben al di fuori dei confini. In pratica quelli Russi ci tangono poco, quelli americani rompono ampiamente i maroni.

          1. Assolutamente sì Lux, era il motivo per cui ho inserito quella precisazione “in patria” nel mio commento.

            Detto questo, credo che la minore portata dell’imperialismo russo non sia da ascrivere a una volontà isolazionista o di rispetto della sovranità altrui – mai esistita sin dai tempi di Ivan il Terribile – quanto al semplice fatto che la Russia è un colosso dai piedi d’argilla, che non può permettersi nessuna colonizzazione senza risentirne in maniera drammatica. Ancor prima che la politica dei prezzi del petrolio strangolasse l’URSS, fu l’invasione dell’Afghanistan – un palese atto di imperialismo esacrabile quanto l’invasione dell’Iraq – a portare l’Unione Sovietica al disastro.
            In altri termini, la Russia non può permettersi la tipologia di colonialismo americano, quella del bastone e della carota, non avendo né carote da distribuire e neppure un bastone che non sia fradicio con cui minacciare.

  6. “Per quanto riguarda il nostro paese dobbiamo al più presto recuperare la sovranità a cui abbiamo rinunciato negli anni”

    ah sì?
    aiutatemi, ho un vuoto di memoria, come continua “noi fummo, da secoli…”?

  7. Mi sembra stiate proponendo la solita tiritera economico-globalista, a cui attribuire ogni genere di male, senza fornire un’adeguata analisi: non è che vi manca un economista nel board?

    Gli unici a credere che Berlusconi sia caduto a causa di un’imposizione della cosiddetta Troika potrebbero essere i suoi fedelissimi seguigi, Dudù e Emilio Fede.

    Berlusconi, come già accadde nel 1994, è stato vittima del tiro incrociato della magistratura e degli organi di stampa (senza entrare nel merito delle vicende) ma, soprattutto, dell’impossibilità di mantenere l’enorme sistema di clientelismo su cui, da sempre, ha fondato la gestione del suo potere: un accozzaglia di transfughi, trasformisti, ex-qualcosa (dai finiani ex fascisti agli ex democristiani) belle statuine, ruffiani, corrotti e condannati in via definitiva la cui fedeltà è sempre stata più labile dei suoi capelli, tenuto su dagli “onorevoli” Razzi e Scilipoti, le più squallide caricature politiche mai prodotte dal nostro disgraziato parlamento.

    Incapace di venir fuori dalla crisi economica, il IV governo Berlusconi accettò che una delegazione del FMI vigilasse sull’Italia; così, alla prima votazione l’accozzaglia di cui sopra lo impallinò alla grande: nella ratifica della rendicontazione generale, l’armata Brancaleone mandò a dire che Silvio non ha più la maggioranza dei voti per continuare.
    Considerando come la stragrandissima maggioranza dei provvedimenti fosse stata approvata dal suo governo solo a colpi di fiducia, ecco materializzarsi lo spettro del solito ricatto dei gruppi parlamentari e dei franchi tiratori, in un momento in cui lo spettro del fallimento del 1991, era a portata di spread. L’alternativa era imporre la patrimoniale, il prelievo forzoso notturno, o togliersi momentaneamente dalla scena, facendo sì che i contraccolpi di popolarità dell’ennesimo decennio di malgoverno li subissero i “tecnici” e le misure draconiane che questi avrebbero imposto in sua vece.

    Se proprio si dovesse trovare un responsabile di questo, io propenderei per il popolo italiano: settant’anni, tre generazioni appena, sono assai poche per portare un popolo ad una maturità, culturale, sociale e politica, tale da poter gestire una democrazia, e l’idea che gente come i già citati Razzi e Scilipoti possano metter piede nel sistema legislativo e non al massimo nel comitato delle sagra della salama da sugo a cui dovrebbero essere relegati, la dice lunga su cosa siamo stati in grado di partorire noialtri “democratici” italiani.

    Per il resto, invece, direi che Putin se l’è cercata e, purtroppo, sarà il suo elettorato a pagarne il prezzo; grattando sotto la superficie delle dichiarazioni roboanti, l’unica cosa che emerge è una Russia prossima all’ennesimo disastro economico, come già fu nel 1998, schiacciata dall’armata speculativa di USA e Sauditi da un lato, e dalla finta “amicizia” con una Cina famelica (e filo-americana, anche soltanto in funzione dell’enorme quantità di debito statunitense detenuto), pronta a spolpare sottocosto le risorse naturali degli “amici” russi.
    Saranno contenti i nazionalisti e i deliranti pazzoidi come Dughin, del sapere di avere ai confini orientali milioni di cinesi ben disposti a colonizzare il loro sterminato e disabitato paese?

    D’altronde, un ex KGB più adatto all’intrigo politico che non alla gestione economica, e un’autocrazia di yes-men compagni d’armi, insieme nel 136° paese più corrotto del mondo, dubito potevano pensare di uscirne sani e salvi dall’avere contro tutto l’establishment finanziario.
    Sembra stano che zar e soviet prima, e “presidenti” dopo, non abbiano appreso nulla delle strategie occidentali, continuando a basare la propria, presunta superiorità su una relativa minaccia militare, senza sviluppare quei settori chiavi, dalla finanza al terziario avanzato, utili a contrastare le armate neo-liberismo sul medesimo piano.

    Gli storici discuteranno a lungo su cosa abbia innescatoil declino degli Stati Uniti d’America, se le politiche neo-liberiste reaganiane, principali responsabili dell’attuale e infinita crisi economica mondiale, o se l’avventurismo militare imperialista della dinastia Bush, ma non avranno alcun dubbio su cosa dell’Unione Sovietica Reloaded di Putin

    1. Oltre a Razzi e Scillipoti siamo stati anche bravi a mettere in parlamento un travestito.

      Questo la dice lunga sulla capacità del popolo italiano nel gestire la democrazia.

    2. Ho premuto invio troppo presto.

      Riguardo alla Russia retrograda che mostra i muscoli solo sul lato militare piuttosto che con il terziario potrei provare una difesa nei confronti della Russia.
      Per sviluppare il terziario ci vuole tempo e soldi. Questi ultimi, prima della venuta di Putin, erano praticamente spariti.
      Il comunismo prima (si sa che il comunismo porta solo arretratezza e frena lo sviluppo) ed il governo Eltsin dopo hanno devastato il Paese. A riprendere ci vuole moooolto tempo.
      Mentre gli USA sono sempre stati all’avanguardia della politica economica. Tanto all’avanguardia da poter si fare il buono ed il cattivo tempo ma anche da essere sull’orlo dell’implosione totale grazie alle ultime loro invenzioni: cioè l’economia finta, astratta. L’economia delle società che valgono miliardi e miliardi ma non hanno nulla.

      Io fossi Russia e Cina studierei un modo per bloccare tutta internet per un mese intero. Colossi dell’equivalente di Facebook, Google, Apple che hanno valori pazzeschi ma poco patrimonio reale verrebbero spianati a terra in un attimo (facebook per primi).
      Ne risentirebbe tutta l’economia mondiale (anche russa e cinese) ma quella americana deflagrerebbe come un immensa bomba H.

  8. Sul travestito, personalmente, non avrei nulla da dire di per sé, purché sia capace.
    A giudicare dall’attività legislativa, il nostro non lo era, ma non penso derivasse dal tipo di intimo indossato, quanto dal fatto che tra il gestire il Muccassassina e il potere legislativo d’uno stato ci dovrebbe essere una vita di studio e dedizione di differenza.

    Sulla industrializzazione invece, direi che “dipende”.
    La parcellizzazione della produzione con l’unico esempio eminentemente contrario della Cina, che è comunque un caso “sui generis” per innumerevoli ragioni – è una conseguenza del capitalismo medesimo, ancor prima che un suo presupposto. Quindi, il problema della mancata industrializzazione della Russia, anziché nella mancanza di denaro di per sé, direi che deriva dall’impossibilità di effettuarvi investimenti per i giganti finanziari globali senza incorrere nel controllo statale, draconiano e partigiano, e per nulla interessato allo sviluppo d’un economia di mercato che minerebbe i fondamenti stessi di questo controllo.
    Qualcuno (Brzezinski?) definì la Russia putiniana “il benzinaio del mondo”, deridendone il tentativo di imporsi economicamente fondando la più rilevante percentuale del bilancio statale sulle materie prime…
    Putin, a meno del colpo di testa vagheggiato dagli analisti strategici dell’attacco alle repubbliche baltiche, credo passerà alla storia come una lunga parentesi reazionaria nel processo di dissoluzione della Russia, iniziato con la perdita dei satelliti, acuitosi con le guerre cecene e giunto all’apice con la crisi ucraina.
    Lo scopo dichiarato del nuovo zar è sempre stato quello di ripristinare la supremazia sovietica, ricostruendo un’impero – ancor prima che una superpotenza e men che meno una democrazia – secondo strategie già consegnate alla storia del ‘900. In questo, non può che fallire, considerando come stiano fallendo persino le più fini strategie imperialistiche americane.

    La mia ipotesi – labile – è che la Russia si smembrerà – pacificamente ad est, militarmente nel Caucaso – per una mera ragiona storica: l’assetto del paese, dallo zarismo al comunismo sino al putinismo, non è in grado di mettere la nazione in grado di competere con il resto del mondo. I dirigenti del partito comunista cinese l’avevano capito bene, tradendo platealmente ogni pretesa di socialismo autocratico maoista aderendo al WTO; Putin, perlomeno da quello che traspare platealmente dal suo operato, sembra davvero vivere in una realtà parallela, in cui il ripristino dell’Unione Sovietica secondo diversa dicitura sia realmente possibile non solo nella sua testa e in quella dei sodali siloviki.

    L’ucronia è un esercizio sterile ma divertente… bisognerebbe proporre al board di questo sito l’elaborazione d’un simile scenario.
    Personlamente, non ne so abbastanza molto su come questi giganti si finanziano e mantengono le proprie quote di mercato per anche solo immaginare cosa accadrebbe al loro “shutdown”.

Comments are closed.