L’ombra reaganiana sulla politica economica e militare di Donald Trump

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Per la rubrica voce dei lettori vi proponiamo un interessante articolo di Alessio Zanni

Che l’elezione di Donald Trump abbia creato scalpore come quella di Ronald Reagan è fuori discussione, ma che si possano paragonare le due figure presidenziali sotto l’aspetto economico e militare è prematuro e azzardato. Nel suo primo discorso al congresso del 28 febbraio “the Donald” ha annunciato un taglio fiscale del 35 per cento alla classe media, nonché una politica fiscale che cercherà di depenalizzare i grandi colossi americani per convincerli a non delocalizzare. Da qui i paragoni con il 40esimo presidente degli Stati Uniti si sono sprecati.

Nonostante il presidente Reagan si fosse concentrato più sull’inflazione e la disoccupazione che sulla capacità produttiva statunitense, la ricetta del neo-presidente Trump sembra aver funzionato. Con un nuovo stile comunicativo e un savoir-faire finalmente presidenziale, Trump si è mostrato pacato, contenuto e per nulla estremo. Rispettando ciò che aveva proposto in campagna elettorale, ma smussando gli angoli, Trump sembra essere riuscito a portare dalla sua parte una larga fetta di repubblicani, ostili fino al suo discorso. Come Reagan, Trump, possiede un passato differente dal classico uomo politico. Imprenditore, di dubbio successo, è arrivato alla ribalta politica sbaragliando la concorrenza repubblicana proprio come il presidente Reagan. Ma che altro sembra avere in comune il presidente Trump con il presidente Reagan?

Secondo molti la proposta di politica economica avanzata da Trump potrebbe essere comparabile con la reaganomics. La reaganomics fu una delle politiche economiche più controverse della politica americana. Con un abbassamento dell’inflazione che andò dal 10 per cento al 4 per cento in otto anni e una riduzione della disoccupazione che passò dall’8 per cento (inizio mandato) al 5 per cento (fine mandato), la reaganomics potrebbe essere catalogata come un successo economico ineguagliabile per gli Stati Uniti. Ma non solo gli aspetti positivi caratterizzarono la reaganomics. Disuguaglianze sociali sempre maggiori, aumento della soglia di povertà dal 13 per cento al 15,2 per cento e aumento vertiginoso del debito pubblico americano hanno fatto sì che la reaganomics, basata sul principio della trickle down economy, venisse aspramente contestata. Ed è proprio su quest’ultimo punto che molti esperti dissentono sulla similitudine tra Reagan e Trump. Infatti per molti esperti pessimisti si afferma una visione catastrofista della politica economica “trumpiana”. La visione catastrofista la si può descrivere più o meno così: tagli di imposte non soltanto alle imprese ma anche alle classi medio-alte, che accresceranno ancor più le disuguaglianze con effetti sociali imprevedibili; nessuna riforma del sistema di previdenza sociale, soprattutto di Medicare, l’assistenza gratuita per gli anziani che è una vera bomba ad orologeria, e neppure del sistema pensionistico, anch’esso non in equilibrio.

Inoltre, a un osservatore poco attento, potrebbe sembrare che Trump e Reagan abbiano punti in comune per quanto riguarda le proposte di politica estera o per quanto riguarda l’aumento della spesa militare. Mentre Reagan si trovava a fronteggiare un periodo storico molto più pericoloso come quello della guerra fredda, Trump sta vivendo in un periodo in cui l’egemonia militare e strategica statunitense non è mai stata così forte e consolidata e con un nemico, sì più infimo come il terrorismo, ma decisamente meno potente e pericoloso che la minaccia sovietica. Nonostante ciò, il neo presidente ha espresso l’intenzione di aumentare la spesa militare di quasi il 10 per cento. Un incremento di cinquantaquattro miliardi di dollari per la precisione in aggiunta ai seicentoventidue miliardi del 2016 che includono i costi delle operazioni in Iraq, Afghanistan e in altri teatri minori. Infatti Trump aveva promesso di potenziare la Marina con 75 navi in più, l’Aeronautica con 100 aerei da combattimento, oltre i 1.100 previsti, i marines con una dozzina di nuovi battaglioni, portando gli effettivi da cent’ottanta a duecento mila e l’Esercito con almeno sessanta mila nuovi reclutamenti per raggiungere di nuovo i cinquecentoquaranta mila soldati, si legge su “Il Sole 24 Ore“. Anche Reagan spese cifre importanti per la difesa, come il riarmo nucleare o la sua famosa Strategic Defense Initiative, ma sempre con una finalità ben precisa in mente: ottenere la supremazia strategica e, di conseguenza, la sconfitta dell’Unione Sovietica. Ora Trump si trova in un periodo storico completamente differente per cui risulta estremamente difficile giustificare esborsi così importanti per la difesa. Che la figura di Donald Trump, quindi, richiami alla lontana il carisma e la lungimiranza politica di Ronald Reagan potrebbe sembrare corretto ma se lo si facesse a cuor leggero si commetterebbe un errore grossolano, almeno per il momento, che non renderebbe giustizia al miglior presidente della storia degli Stati Uniti, come riporta “Il Sole 24 Ore“(http://america24.com/news/ronald-reagan-il-presidente-preferito-dagli-americani).

In conclusione non si può ancora sapere come evolverà la presidenza Trump, e di certo nemmeno si può sapere se le sue riforme economiche provocheranno o meno l’effetto sperato. Solo il tempo potrà dirci come, effettivamente, evolveranno le cose.