Home Attualità L’obiettivo dei prossimi aiuti occidentali all’Ucraina: la fine della guerra di trincea
L’obiettivo dei prossimi aiuti occidentali all’Ucraina: la fine della guerra di trincea

L’obiettivo dei prossimi aiuti occidentali all’Ucraina: la fine della guerra di trincea

0
0

In Ucraina il conflitto assomiglia da circa due mesi alla Prima Guerra Mondiale. Trincee scavate nel fango, artiglieria che combattono incessantemente, avanzate che si misurano nelle decine di metri e non nei chilometri, uomini che muoiono senza avanzare di un centimetro. 
Questo tipo di confronto militare logora in maniera significativa le parti in conflitto ma sta logorando maggiormente la parte ucraina, la quale dispone in complesso di meno uomini e di minori capacità di rimpiazzare gli equipaggiamenti militari che vanno perduti nella guerra di attrito. A dimostrazione di questo fatto osserviamo quotidianamente piccole avanzate tattiche delle forze russe, ottenute a costo di molti uomini, ma allo stesso tempo costringendo Kiev a sacrificare altrettanti soldati.

La modalità di guerra nel lungo periodo potrebbe far sì che la Russia abbia la meglio. Per questo motivo, perlomeno a nostro avviso, da domani sarà palese il cambio di passo a degli aiuti occidentali forniti all’Ucraina. I momenti prettamente difensivi non saranno più al centro dei pacchetti di aiuto, ma assisteremo alla fornitura di centinaia di veicoli blindati per il trasporto di truppe, centinaia di carri armati pesanti, decine e decine di obici d’artiglieria a lungo raggio, l’arrivo di ordigni come le GBU-39, che se impiegate da postazioni fisse posseggono un raggio utile di circa 160 km con un’accuratezza di circa quattro metri nella versione e base, e rappresentano lo stato dell’arte delle munizioni plananti, una delle punte di diamante dell’industria bellica occidentale, i lanciatori terresti potrebbero essere disponibili entro l’estate.

I veicoli blindati che verranno forniti all’Ucraina saranno di vario tipo, ruotati e cingolati, dotati di capacità anfibie oppure di cannoncini pesanti o torrette mitragliatrici automatiche. Tutti questi veicoli hanno però una caratteristica comune, sono moderni, non residuati ex sovietici, sono perfettamente manutenuti e soprattutto sono tutti molto veloci. I carri armati, di diversa costruzione e concezione, posseggono anch’essi caratteristiche comuni: sono carri armati pesanti con corazze di ultima generazione, massima capacità di protezione per l’equipaggio, ed una elevata potenza di fuoco. 

Veicoli blindati e carri armati saranno supportati dalla migliore tecnologia di artiglieria posseduta dall’Occidente, munizioni guidate per gli obici da 155 mm, sistemi missilistici ad alta precisione HIMARS, bombe plananti GBU-39, con una densità e concentrazione mai vista prima in Europa se non ai tempi della guerra fredda. 

È quindi evidente che il concetto di aiuto militare all’Ucraina è cambiato. È cambiato nella sua essenza più profonda. Lo scopo, se la nostra analisi è corretta, non è più quello di impedire l’avanzata delle truppe di Mosca ma rompere l’equilibrio della guerra di trincea e permettere alle forze armate di Kiev di sfondare le linee russe nel Donbass, in Crimea, e a Melitopol, per tentare di riconquistare, con la forza di questo sistema combinato di armamenti, tutto il territorio che, prima della rivolta del Donbass e dell’occupazione militare russa della Crimea, apparteneva all’Ucraina. 

Se la nostra visione è corretta domani 20 gennaio 2023 a Ramstein in Germania si deciderà che è giunto il momento per l’Occidente di passare all’offensiva in Ucraina. È evidente che questa scelta è dettata dal fatto che Kiev non può permettersi anni di questa guerra di attrito, e nemmeno l’Occidente avrà probabilmente le capacità per supportare indefinitivamente lo sforzo bellico dell’Ucraina. Da questo assunto probabilmente é sorta la decisione di giocarsi il tutto per tutto nella prossima primavera-estate. Quando i terreni saranno asciutti, quando sarà possibile per i carri armati pesanti avanzare senza rischiare di rimanere impantanati nel fango nero dell’Ucraina, una grande offensiva scatterà ad est, una offensiva di movimento, una blitzkrieg di antica memoria, giocata con nuovi armamenti ma con le medesime tattiche di ottant’anni fa imperverserà in Ucraina e a quel punto vedremo carro contro carro, Leopard contro T-90, blindato contro blindato, uomo contro uomo non più nelle fangose trincee che oggi osserviamo ma negli spazi aperti della pianura verso le maggiori città del Donbass e verso la fortezza di Sebastopoli. 

Questo concetto di guerra, e l’ipotesi che le forze russe verranno soverchiate dal dispositivo messo in campo dall’Occidente in Ucraina, trova giustificazione nella supposizione che la Russia accuserà il colpo della sconfitta in terre che Mosca ritiene terre russe (Donetsk, Lugansk, Sebastopoli), senza ricorrere, anzi senza mai nemmeno pensare di ricorrere, alle armi nucleari. Tutto il piano occidentale della conquista militare delle aree che abbiamo menzionato (naturalmente considerando il presidente Putin ancora in vita) considera impossibile il ricorso del Cremlino alle armi atomiche. Questo assunto (ripetiamo ancora con il presidente Putin vivente) è del tutto, a nostro avviso, infondato. L’attuale leadership russa, e in tutta sincerità non ci riferiamo unicamente al presente Putin, ritiene il destino stesso dell’intera federazione legato alla capacità di mantenere un’area di sicurezza lungo i confini occidentali della Russia, senza dimenticare l’eterno desiderio, mai appagato interamente, di avere accesso ai cosiddetti mari caldi. Sebastopoli in questo desiderio e necessità di accesso ai mari caldi è un punto cruciale, senza Sebastopoli Mosca non può avere possibilità di agire nel Mediterraneo che sarà nei prossimi decenni un fulcro del commercio e dello sviluppo mondiale, una Russia senza accesso al Mediterraneo è una Russia destinata a non avere alcuna voce in capitolo in Europa meridionale e a perdere la propria influenza nei Balcani occidentali, mentre il Donbass garantisce profondità alla difesa russa, oltre a milioni di nuovi cittadini in un’Europa che lotta contro la depopolazione. 

Anche per questi motivi, in caso di sconfitta, questa guerra convenzionale, questa sconfitta convenzionale, si trasformerà in una guerra nucleare, e una sconfitta nucleare, perché non c’è vittoria in una guerra atomica. Ma la sconfitta nucleare sarà sconfitta per tutti, non solo per la Russia. Questo concetto di sconfitta relativa unicamente alla Federazione Russa può essere applicata nei confronti di una potenza nucleare? Lo stesso ragionamento vale per ogni potenza nucleare di questo pianeta: una sconfitta convenzionale, ad esempio della Corea del Nord, sarebbe la fine di quel conflitto? Oppure dinnanzi alla debacle delle proprie truppe Pyongyang deciderebbe di portare una sconfitta anche a casa del nemico?
Perché Mosca dovrebbe escludere in questo caso, dopo una guerra di anni e temendo (giustamente o meno, razionalmente o meno) uno scenario yugoslavo per la Federazione, l’uso della sua arma più potente e dell’arsenale più efficiente di cui dispone? 

A quel punto, se e quando le armi atomiche verranno massicciamente impiegate sul suolo ucraino sorge una domanda , sarà ancora senza limiti il nostro supporto a Kiev, saranno ancora valide tutte le promesse di eterna alleanza tra noi e l’Ucraina? Saremo disposti noi a mettere in gioco tutta la nostra società per onorare quel patto? Oppure stiamo solo scommettendo sul fatto che Mosca non ricorrerà mai all’arma definitiva? 

Chi domani sarà a Ramstein giocherà una scommessa, oppure ha messo in conto di andare fino in fondo? Da questa domanda dipende il futuro dell’Europa. 

photo credit: Bundeswehr/Modes Creative Commons Attribuzione 2.0 Generico