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Presidenzialismo? Allora meglio all’americana

Presidenzialismo? Allora meglio all’americana

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Per la rubrica “Voce dei Lettori” ospitiamo oggi un post di Giacomo Cangi, che ci permette di riflettere sull’importanza dei pesi e dei contrappesi all’interno delle forme di stato più “decisioniste” come ad esempio il presidenzialismo americano. La mente subito corre alla riforma costituzionale del governo Renzi e dei contrappesi non adeguati alle nuove prerogative de futuro capo del governo, nel caso in cui vincesse il Sì al Referendum del prossimo autunno. Buona Lettura

Si è soliti dire che il Presidente degli Stati Uniti d’America, a prescindere dalla persona che riveste tale carica, è l’uomo più potente del mondo. E ciò non dipende solamente dalla strapotenza economica degli Usa, ma anche dalla forza che la Costituzione americana attribuisce al massimo organo dell’esecutivo. Se la riforma costituzionale riceverà il via libera dei cittadini al referendum di ottobre, però, ci sarà una carica con poteri addirittura maggiori rispetto a quelli del Presidente degli Stati Uniti: il presidente del Consiglio italiano.
Negli Stati Uniti sono previsti diversi contropoteri. Innanzitutto il Presidente e il Congresso, detentore del potere legislativo, non vengono eletti contemporaneamente. La Camera dei rappresentanti viene rinnovata ogni due anni mentre il Senato ha un sistema di elezione particolare: ogni due anni viene rinnovato un terzo in modo tale che ogni sei anni si ha un Senato completamente nuovo. Non è quindi inusuale (anzi, capita abbastanza spesso) che il Presidente si ritrovi un Congresso che ha una maggioranza politica a lui ostile. E considerando i poteri che ha il Congresso, non si tratta di un piccolo particolare. È il Congresso che approva il bilancio e che decide quanto e se stanziare fondi per gli interventi voluti dal governo. Sempre il Congresso, tramite le commissioni permanenti, controlla l’azione dell’esecutivo. Come scrive Mauro Volpi, professore di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Perugia, nel suo volume Libertà e autorità. La classificazione delle forme di Stato e delle forme di governo: «Il Senato (…) deve dare il suo consenso alle nomine presidenziali dei funzionari federali» mentre la Camera dei rappresentanti «ha il potere di messa in stato d’accusa (impeachment) del Presidente e di ogni altro funzionario federale, imputandoli di “tradimento, di corruzione o di altri gravi reati” (…) In tale ipotesi essi sono giudicati dal Senato e, in caso di condanna pronunciata a maggioranza dei due terzi dei presenti, sono rimossi dalla carica». Inoltre, il Congresso può superare il veto del Presidente «riapprovando la legge rinviata con la maggioranza dei due terzi dei membri».
Se il ddl Boschi supererà la prova del referendum il presidente del Consiglio italiano avrà, a causa del combinato disposto fra riforma costituzionale e riforma elettorale, mani molto più libere rispetto a quelle del capo di governo americano. Grazie all’italicum la lista più votata al ballottaggio si vedrà automaticamente attribuire la maggioranza dei seggi alla Camera e il Senato non sarà certo un contrappeso degno di nota considerando che, oltre a non votare la fiducia all’esecutivo, non avrà poteri consistenti se non quello di votare le leggi costituzionali (la seconda Camera potrà intervenire nell’iter di formazione delle leggi ordinarie solo a determinate condizioni).
Ma il Parlamento diventerà di fatto il passacarte del governo non tanto perché alla Camera ci sarà una maggioranza schiacciante e il ruolo del Senato verrà ridimensionato, ma perché l’esecutivo stesso potrà decidere di cosa dovrà occuparsi Palazzo Montecitorio. Il riformato articolo 72 prevede infatti che «il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione». Perfino l’agenda dei lavori della Camera potrebbe quindi essere influenzata dalle esigenze dell’esecutivo. E non bisogna scordarsi che continuerà ad esserci per il governo la possibilità di varare decreti-legge, per la cui conversione sarà sufficiente il voto della sola Camera dei deputati.
Per quello che riguarda i cosiddetti organi di garanzia, il Presidente della Repubblica se lo potrà tranquillamente eleggere un partito da solo: al quarto scrutinio sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea composta da Camera e Senato riuniti in seduta comune. Dal settimo scrutinio, inoltre, sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti non dei membri ma dei votanti. Tre dei giudici della Corte costituzionale saranno eletti dalla Camera dei deputati e due dal Senato. La maggioranza politica, quindi, sarà ampiamente in grado di eleggere giudici a lei affini. Lo stesso si può dire per i membri del Consiglio superiore della magistratura eletti dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università di materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Essendo diminuito il numero dei senatori, la maggioranza sarà anche in questo caso in grado di raggiungere il quorum facilmente ed eleggere così persone a lei gradite.
L’unica speranza di qualche contrappeso potrebbe arrivare da un istituto di democrazia diretta: il referendum abrogativo. La riforma dell’articolo 75 prevede che il quorum sarà non del 50% più uno degli aventi diritto ma corrispondente alla «maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati» se verranno raccolte ottocentomila firme. Non si potrà invece confidare nel neonato referendum popolare propositivo in quanto a disporre delle modalità di attuazione saranno le Camere in una futura legge.
La stabilità del governo è un obiettivo nobile, tant’è che molti sistemi costituzionali ed elettorali lo rincorrono. Ma nessuno di essi prevede che chi vince le elezioni di fatto possa decidere tutto senza sostanziali contro bilanciamenti. Piuttosto che questa riforma, sarebbe decisamente meglio se l’Italia copiasse il presidenzialismo americano e tutto il sistema di pesi e contrappesi che lo caratterizza e che ha reso gli Stati Uniti la più antica democrazia del mondo.