Home Attualità Si può ancora parlare di “salvataggio in mare” per gli immigrati dalla Libia?
Si può ancora parlare di “salvataggio in mare” per gli immigrati dalla Libia?

Si può ancora parlare di “salvataggio in mare” per gli immigrati dalla Libia?

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È ancora possibile definire “salvataggi in mare” la serie di interventi messi in atto negli ultimi mesi, in particolare da organizzazioni non governative, atti a trasbordare dai loro rudimentali gommoni le migliaia di uomini e donne che tentato di arrivare via Libia in Italia e in Europa?
Salvataggio significa strappare alle acque persone che, nel tentativo di compiere un viaggio (ad esempio verso Lampedusa), non riescono a completarlo per i motivi più disparati (avaria, meteo, emergenze a bordo). Salvataggi erano tutte quelle operazioni che vedevano impiegate le nostre unità nel soccorrere chi, avendo preso il mare con lo scopo di arrivare in Italia, falliva e si ritrovava alla deriva nel mediterraneo senza avere prima coscienza di se e quando cio potesse accadere .
Oggi invece assistiamo a fatti del tutto differenti. I trafficanti di essere umani, che si arricchiscono mettendo a repentaglio la vita di chi a loro si affida, hanno ben compreso che per trarre il loro profitto è sufficiente trainare i gommoni con gli immigrati appena al di fuori delle acque territoriali libiche (oppure dotarlo di quel poco carburante e motori di minima potenza atti compiere il breve viaggio previsto, con grande risparmio per i trafficanti e possibilità di aumentare il numero delle partenze), in punti ben definiti, dove operano costantemente unità di varie entità, governative e private.
Ma in questo caso non si può parlare di salvataggi, bensì sarebbe opportuno parlare di trasbordi pre organizzati con un tacito accordo tra le parti.
Manca infatti l’elemento dell’imprevedibilità dell’evento per far definire le operazioni di recupero degli immigrati sia “soccorso” che salvataggio. È palese che gli scafisti abbiano piena coscienza di dove essi debbano dirigersi per effettuare il rendez-vous con le imbarcazioni, che poi completeranno il viaggio degli immigrati verso l’Italia.
Così facendo la struttura del “soccorso” in mare si è trasformata in uno strumento nelle mani di organizzazioni di trafficanti, che utilizzano risorse pubbliche e private per generare i loro profitti che poi alimentano attività illegali e terroristiche, responsabili in parte dell’instabilità in terra di Libia

Noi sosteniamo questa tesi da molti mesi, oggi secondo il Financial Times lo sostiene anche Frontex, una presa di posizione delle nostre istituzioni sarebbe gradita.