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Teheran: prove generali per una insurrezione

Teheran: prove generali per una insurrezione

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Non è ancora una rivolta quella che osserviamo ora in Iran e men che meno si tratta di una rivoluzione. Il potere della teocrazia iraniana dopo quaranta anni di dittatura è forte, e le forze di sicurezza paramilitari Basiji, e ancor più le Guardie della Rivoluzione, sono pronti a tutto per evitare che lo status qui venga alterato.
Ma quarant’anni sono anche tanti per far dimenticare la corruzione e le condizioni generali che portarono al potere gli ayatollah ed in un mondo connesso sono troppi per frenare il desiderio di libertà (di vestirsi, di gioire di camminare mano nella mano per strada, di baciare senza timore la persona amata) di due generazioni vissute nella paura per la repressione.
Le proteste sono iniziate, come spesso accade, per motivazioni concrete come il prezzo dei beni di prima necessità o la corruzione vissuta sulla propria pelle da decine di migliaia di cittadini. Ma se è vero che sono elementi concreti che muovono le prime scintille della rivolta, sono le motivazioni ideali e profonde che la trasformano in una insurrezione, mentre sono le masse che eventualmente potranno far sì che diventi una vera rivoluzione.
La protesta in Iran al momento è confinata tra la rivolta e l’insurrezione, le motivazioni politiche e ideali hanno ormai preso il posto delle richieste concrete legate alla vita economica ed al benessere contingente, ma manca l’apporto delle masse, perché?
Perché l’apparato repressivo iraniano è potente, perché milioni di iraniani sono organici allo stato teocratico per interesse o per fede e perché nel 2009, quando emerse l’ultima vera protesta in terra di Persia, nessuno ebbe il desiderio di sostenere (parliamo in sede internazionale) le richieste degli oppositori, che furono incarcerati, uccisi, ed esclusi dalla società. Chi oggi ha il desiderio di seguire la stessa via, senza la speranza di un aiuto dall’esterno?
È difficile dire se oggi quall’aiuto ai rivoltosi arriverà, certo è che gli Stati Uniti hanno subito pubblicamente appoggiato la protesta contro gli ayatollah, in un gesto senza precedenti dai toni di Reagan. È lecito dunque pensare che nel caso in cui l’insurrezione prendesse piede gli Stati Uniti potrebbero assistere apertamente e concretamente i rivoltosi. Perché? Perché oggi l’espansione militare iraniana mette in pericolo gli interessi americani, sauditi e israeliani ed un cambio di regime è sicuramente più augurabile di una guerra classica nel Golfo, sia in termini di costi di vite umane sia banalmente in termini di budget, senza contare il rischio politico interno per un presidente che fatica a prendere in mano pienamente le redini del potere.
Eliminare i vertici dello stato iraniano potrebbe essere l’aiuto concreto degli americani alla nuova Rivoluzione iraniana, se e quando mai essa dovesse deflagrare. I metodi usati in altri luoghi del Medioriente (Siria, Libia, Egitto) non sono funzionali allo scenario iraniano, oltre ad essersi dimostrati fallaci ove già impiegati.
Anche per questo motivo è un errore paragonare i moti di piazza dell’opposizione iraniana alle primavere arabe. In tutte le cosiddette “primavere” la motivazione religiosa ed anti-laicista era un pilastro della rivolta, qui invece assistiamo allo scenario opposto, dove gli oppositori protestano per cercare di abbattere un sistema di potere politico-religioso che già controlla un intero paese.
L’attenzione del governo iraniano affinché la rivolta non diventi insurrezione è massima. Le forze di sicurezza hanno finora evitato di impiegare le armi e non fornire nessun martire alla piazza.
Nessuno oggi può sapere cosa accadrà in terra di Persia, ma di una cosa siamo sicuri: non sarà una primavera araba e nessuno degli attori stranieri che dovesse un domani intervenire attuerà l’obamiano motto del “Leading from Behind”.
Le dittature governano con il pugno di ferro, hanno potere di vita e di morte, ma ciclicamente (se non evolvono in una forma di governo più condivisa) sono destinate ad implodere nel caos e nel sangue.
L’Iran di oggi è un paese che può evolvere verso una forma di governo non teocratica oppure implodere per mano delle folle.
Noi saremo qui, sperando di non veder scorrere il sangue del popolo iraniano, a raccontarvi quanto accadrà.