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Nein! Nein! Nein!

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Tanto per comprendere la gravità della situazione, casomai ce ne fosse bisogno, vale la pena dare un rapido sguardo a quanto accaduto questa settimana ai mercati finanziari e ai principali indicatori macroeconomici. Partiamo da questi ultimi. La disoccupazione sta mordendo forte ovunque. In Europa è in netto aumento (non citiamo i casi davvero critici di Spagna e Italia). Tuttavia nemmeno gli Stati Uniti se la passano bene. Nel mese di maggio, infatti, sono stati creati solo 69 mila nuovi posti di lavoro, raggiungendo così il minimo negli ultimi 12 mesi. A preoccupare, inoltre, è la distanza tra le previsioni degli economisti e la realtà dei fatti. Sull’onda di un debole entusiasmo era stato infatti previsto un lento recupero dell’economia americana, al contrario la disoccupazione è tornata a crescere.

Non è solo la disoccupazione a destare preoccupazioni, anche l’indice manifatturiero americano non è così positivo (di quello cinese ormai è da mesi che ne parliamo).

Sono di ieri le parole del presidente USA, Barack Obama:

[Europe’s problems are] having an impact worldwide — and it’s starting to cast a shadow on our own [economy] as well.

Senza mezzi termini, Obama sta puntando il dito sull’Europa. Come abbiamo detto più volte, purtroppo, la memoria umana è corta, quella dell’opportunità politica lo è ancora meno. A proposito di chi ha contagiato chi, potremmo parlare per ore.

Di certo non è intenzione di chi scrive esonerare l’Europa dalle proprie colpe, tutt’altro e ne parleremo tra poche righe.

La situazione dicevamo è critica, la disoccupazione cresce e il generale sentimento di incertezza si riflette completamente sui mercati. Ieri le borse hanno nuovamente chiuso tutte in territorio negativo. Paradossalmente la borsa che ha perso di più è quella di Francoforte, lasciando a terra ben il 3,42%. La piazza italiana è stata addirittura la migliore in Europa, chiudendo a -1,04%. Ovviamente il FTSI MIB ha perso enormemente nei mesi e nelle settimane precedenti.

Anche i futures sono in assetto ribassista, sia il WTI che il Brent sono in caduta libera. Il primo è ormai precipitato a circa 83$ al barile, il secondo è sotto quota 100$ (non accadeva da molti mesi), attestato a 98$ al barile. Per quanto riguarda casa nostra, come ormai siamo abituati a registrare, il prezzo alla pompa è davvero rigido rispetto ai cali del costo della materia prima.

E adesso torniamo in Europa per parlare di politica economica. Ormai il coro di voci che chiede misure per la crescita si sta allargando a dismisura. E non si tratta più solo di politici, bensì ormai lo stanno sostenendo numerosi economisti. E forse da ieri, in modo plateale, hanno cominciato a dirlo anche i mercati. Il tonfo clamoroso di Francoforte potrebbe non essere una mera coincidenza.

Gli europei hanno sicuramente la loro parte di colpa in questa crisi e al suo interno, sicuramente i paesi periferici hanno più colpe di altri. In altre parole, il risanamento dei conti serve eccome, ma non può essere l’unica strada. Ma le ragioni tedesche finiscono qui. L’Europa già a partire dalla crisi greca (parliamo di più di un anno fa) ha mostrato ai numerosi osservatori internazionali una totale incapacità decisionale. I continui veti tedeschi hanno fatto avanzare la “pratica” greca a singhiozzo. A parte i danni sui propri debiti sovrani, gli europei hanno una colpa grandissima da espiare: aver dato fin dall’inizio spazio alla speculazione. Quest’ultima, per definizione, si insinua laddove vi sia lo spazio di manovra. E l’Europa non ha fatto nulla, soprattutto a causa della mancanza di visione di lungo termine della Germania, per chiudere le porte alla speculazione. A ciò si aggiunga che è, probabilmente, crollato in modo definitivo il concetto di Unione Europea in quanto scudo protettivo per i suoi stati membri. La moneta c’è, ma la politica fiscale ed economica no. Il caso greco ha dimostrato che il meccanismo di salvataggio dei propri stati membri non è un meccanismo automatico. Chiaramente, in un contesto come questo, gli speculatori (ma a questo punto anche i dis-investitori) hanno avuto carta bianca.

E la sequenza cronologica dei fatti, da ragione a questa interpretazione. Con la Grecia si è visto solo il primo capitolo. I mercati a quel punto si sono interrogati sulla volontà europea di salvare eventuali altri stati membri. Ed ecco che hanno cominciato a scricchiolare uno dopo l’altro tutti i paesi periferici. Ovviamente tutto questo ha avuto un riflesso notevole sul premio che ciascuno di noi deve pagare per il maggiore rischio percepito dal mercato. Il resto è storia di questi giorni.

La soluzione proposta e generalmente accettata perchè inizialmente sembrava di buon senso, è stata la via dell’austerità. In Italia siamo ancora sotto l’influsso di quel vento cominciato a soffiare a metà dell’anno scorso, con una prepotente accentuazione dalla fine del 2011.

Adesso i primi a non essere più convinti che questa sia l’unica strada da dover seguire sono proprio i mercati che, dal canto loro, attendono segnali di apertura da parte della Germania. Tuttavia Frau Merkel ha ribadito il suo “nein” agli Eurobonds, ha detto “nein” all’allargamento del perimetro di competenza della BCE, ha detto “nein” all’utilizzo del fondo salvastati (l’EFSF) per finanziare il salvataggio delle banche spagnole. Tre “nein” che pesano come macigni e che potrebbero essere all’origine del tracollo di ieri della borsa tedesca.

Gli analisti di GPC concordano sul fatto che la strategia della Merkel, seppur prenda le mosse da sacrosanti principi di stabilità dei conti pubblici, sia senza una visione di medio – lungo termine. Se prima i mercati temevano una Europa senza la Germania (ovvero paesi periferici abbandonati a se stessi, mentre la Germania avrebbe continuato a operare con un euro elitario), adesso gli stessi mercati temono una Germania senza stati periferici.

Pensiamo che prima o poi anche i tedeschi dovranno fronteggiare la realtà dei fatti. La maggior parte delle esportazioni tedesche sono rivolte all’area Euro. E’ in ballo una bilancia commerciale da centinaia e centinaia di miliardi di Euro. Se la politica di estremo rigore strozzerà i paesi periferici, la Germania non potrà non subire contraccolpi devastanti. Lo hanno capito ormai tutti, tranne la Germania stessa che, probabilmente, non crede a questo scenario.

Non riteniamo che lo spettro dell’inflazione spesso richiamato dalla Germania sia una motivazione sufficiente a impedire l’intervento della BCE in stile Banca Centrale. Al momento l’inflazione è quasi tutta importata esternamente (petrolio). Ci sentiamo in ottima compagnia quando sosteniamo che la Banca Centrale Europea debba cominciare a stampare moneta o, mutatis mutandis, in caso di fondi speciali dirottati all’economia, questi debbano essere indirizzati non più al sistema bancario, bensì direttamente alle imprese. Solo in questo modo, fatti salvi i principi di bilancio degli Stati, si potrà cominciare a dare la spinta necessaria all’economia reale. Concludendo, ci rimane un dubbio di quelli che lasciano sensazioni negative: se l’Europa sta archiviando una dopo l’altra le opzioni che implicano una sussidiarietà o meglio una solidarietà tra gli stati membri, che tipo di Europa potrà mai essere?

Econ1 Analista economico, si occupa principalmente di temi macroeconomici, Europa, Cina, Cinafrica. Economia dello sviluppo e temi di economia ambientale. Contattabile via mail (in calce).

Comment(1)

  1. la nato andrebbe riformata stati uniti + unione europea + paesi fuori dall’unione senza l’unita militare e indipendenza dell’europa non si avrà mai una sola politica estera = non si avrà mai una politica economica unitaria
    unità militare =unità economica = una sola voce e un solo pugno da sbattere sui tavoli del mondo ma questo dall’altra parte dell’oceano non sarebbe gradito

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