Cairo : la quiete prima della tempesta

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CairoIl Cairo ha vissuto una strano sabato, una giornata di assoluta tranquillità nelle strade, dopo che nella notte precedente quasi novanta persone hanno perso la vita e circa settecento sono rimaste ferite durante scontri ai margini del quartiere di Nasr City.
Un sabato che ha visto sia il Segretario di Stato americano John Kerry, sia il Segretario alla Difesa Usa Chuck Hagel telefonare ai vertici militari egiziani ed al Presidente provvisorio Mansour per formulare due richieste che non possono essere assecondate da El Sisi, pena il fallimento dell’operazione dei militari, e cioè la liberazione di Mohamed Morsi e la libertà totale di manifestare per i militanti che sostengono la fratellanza mussulmana.
Le richieste americane evidenziano ancora una volta l’errata valutazione Usa e la superficialità con la quale tale analisi viene compiuta dalla Casa Bianca. Chiedere ai militari di fare marcia indietro a questo punto del colpo di stato decreterebbe la definitiva fine del potere delle forze armate egiziane nella politica del Cairo, cosa che i generali non hanno intenzione di fare accadere.
Non bisogna dimenticare che la grande maggioranza del paese è al fianco dei militari e le dimostrazioni di piazza dello scorso venerdì lo hanno testimoniato senza dubbio alcuno. Se i militari oggi si ritirassero e ripristinassero la presidenza di Morsi la violenza tra i civili esploderebbe e nessuno potrebbe fermarla, in quanto l’unica istituzione nella quale il popolo egiziano ha da sempre riposto la sua fiducia, e cioè le forze armate, sarebbe delegittimata una volta per tutte.
Il generale El Sisi quindi non farà nessun passo indietro, anzi dovrà andare avanti per ristabilire l’ordine e evitare che la metropoli egiziana, le città del delta, le città sul canale di Suez e nel Sinai vengano paralizzate dalle continue proteste della fratellanza mussulmana. In questo contesto di proteste giornaliere e a macchia di leopardo l’economia egiziana rischia il tracollo definitivo, per non parlare dell’industria turistica fonte di valuta pregiata per le casse dello stato.
Ed El Sisi agirà presto, non appena eliminata la sacca integralista presente nel Sinai, agirà nelle città e in particolare al Cairo, dove i Fratelli Mussulmani durante queste settimane stanno cercando di costruire una città nella città, uno stato nello stato, con proprie forze di sicurezza, ospedali, amministrazione della giustizia. Se questo progetto di stato nello stato andrà avanti, e se ai militanti arriveranno armi dal Sinai, dalla Libia, o dal Sudan tale enclave della fratellanza potrebbe essere il nucleo di una guerra civile in stile libanese.
Anche per questo El Sisi non può aspettare molto tempo prima di conquistare militarmente Nasr City. E quando diciamo che non potrà aspettare molto tempo intendiamo giorni non settimane.
Poi sempre dagli Stati Uniti giungono segnali che annunciano a chiunque che qualcosa di grave sta per accadere in Egitto.
Pochi minuti fa l’ambasciata americana è stata chiusa al pubblico e il sito dell’ambasciata chiede agli americani di rimanere in casa. Un segnale chiaro che indica che forse la resa dei conti al Cairo è prossima.

Comment(1)

  1. E sì, vuoi o non vuoi, americani o no, per la fratellanza musulmana è giunta l’ora di farsi da parte. Da Mubarak emarginati nella vita politica e sociale del paese e poco conosciuti all’estero, ora invece in questa fase ai vertici, ci sono riusciti a guadagnarsi una grossa fetta politica, che determina le decisioni nazionali. Forse nel mondo arabo, come sta accadendo in Tunisia, piano piano si avverte un cambiamento “laico” in un contesto comunque fortemente islamico. Ecco che capita in Egitto, ma qui sta partendo dai militari, e non è facile allontanare dalle istituzioni un gruppo così forte. Penso che per Israele tutto questo è un dramma, perché? Perché se mai ci sarà di nuovo una compattazione, araba laica e militare, questa fu quella che per anni trascinò il popolo ebraico in guerre sanguinose, pericolose, ad un passo da cocenti sconfitte

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