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La Corea del Nord: un attore imprevedibile? 

Vi proponiamo un interesante articolo di Enrico Barranu, buona lettura.

In queste settimane il tema della Corea del Nord ha dominato le testate delle principali fonti d’informazione riguardanti politica estera, oscurando parzialmente anche il conflitto siriano. L’attenzione su Pyongyang è più che dovuta, data la contemporaneità di eventi di rilevante importanza.

 

In primo luogo, la ripresa dei test missilistici. Quello che colpisce non è tanto il fallimento degli ultimi lanci, bensì l’aumento del numero dei test stessi. Se nel 2016 il regime aveva eseguito in tutto tre lanci (uno dei quali per mettere in orbita un satellite), quest’anno siamo già arrivati a sette, tre ad aprile e due nel mese di maggio. Inoltre, la ricorrenza del giorno del sole (15 di aprile), il centocinquesimo anniversario della nascita di Kim Il-sung, che è stata appunto celebrata con il lancio, seppur fallito, di un missile balistico a medio-lungo raggio.

 

In secondo luogo, la crescente tensione diplomatica e militare fra gli Stati Uniti e i suoi alleati nella regione, su tutti Giappone e Corea del Sud, e il regime di Pyongyang. Da un lato minacce di attacchi preventivi da parte degli americani, che più volte hanno ribadito che “tutte le opzioni rimangono sul tavolo” riguardo la questione Coreana, dall’altro dichiarazioni altrettanto forti del regime di Kim Jong-un, che si è detto pronto a scatenare una guerra nucleare se provocato. Inoltre, seppure fatto praticamente ovvio e prevedibile, bisogna comunque segnalare le dimensioni e l’entità delle esercitazioni condotte da ambo le parti. I nordcoreani hanno portato a termine quella che è sembrata essere stata l’esercitazione con armamenti convenzionali (prettamente artiglieria pesante) più imponente di sempre.

 

 

Dando retta alla divulgazione sui media mainstream, purtroppo, è molto facile farsi trascinare verso un punto di vista che etichetta Kim Jong-un come il dittatore sanguinario e imprevedibile, che si diverte a terrorizzare il mondo con le sue testate nucleari. Tuttavia, anche in questa situazione delicata e in rapida evoluzione, bisogna cercare di analizzare e contestualizzare il comportamento della Corea del Nord, al fine di metterne in prospettiva il comportamento come attore politico razionale.

 

Facendoci aiutare dalla storia recente, possiamo constatare come i periodi di massima tensione con il regime di Pyongyang, caratterizzati da provocazioni, test missilistici e nucleari si sovrappongano ad altri eventi politici di rilevante importanza. In particolare, la Corea del Nord tende ad assumere posizioni particolarmente aggressive in casi precisi: quando vi è una successione al potere al suo interno, oppure quando la sopravvivenza del regime è reputata in pericolo da minacce sia interne che esterne. La retorica guerrafondaia unita ad azioni concrete sul piano militare, quindi, diventano gli strumenti in mano al regime per rinsaldare il potere mediante rafforzamento del consenso. In tali congiunture l’élite nordcoreana reputa necessario optare per una dimostrazione di forza, per ribadire sia la solidità stessa del sistema di potere, sia la fermezza nel proseguire nei propri progetti e obiettivi a lungo termine, in primis il programma nucleare.

 

Le due maggiori crisi nucleari riguardanti la Corea del Nord, infatti, coincidono in modo evidente con eventi che rischiavano di mettere in pericolo il regime.

 

La prima, nel 1994, si sviluppò in un contesto di grande insicurezza della Corea del Nord, che affrontava sfide senza precedenti: sul piano interno, la morte dello storico leader Kim Il-sung e la successione di Kim Jong-il, su quello esterno il crollo dell’URSS, che gettava il paese in una pericolosa situazione di isolamento diplomatico. Parallelamente, il paese iniziava ad affrontare una carestia che sarebbe durata fino al 1998 e che, secondo le stime più attendibili, avrebbe ucciso mezzo milione di persone. Il rifiuto delle ispezioni nei suoi stabilimenti nucleari portò quasi allo scontro diretto con gli Stati Uniti, che da anni tentavano ormai di arrestare lo sviluppo del programma nucleare di Kim Jong-il. L’intervento di Carter e l’elaborazione del “Framework Agreement” consentirono alla fine di risolvere diplomaticamente la questione mettendo un freno alle ambizioni nucleari coreane.

 

La seconda, tra il 2002 e il 2003, fu invece dovuta un contesto internazionale percepito come ostile. Immediatamente dopo l’undici settembre l’amministrazione Bush incluse nell’asse del male la Corea del Nord, suscitando la reazione di Pyongyang, che si ritirò dal Trattato di Non Proliferazione, cacciò gli ispettori internazionali e riattivò i suoi reattori. La successiva invasione dell’Iraq, anch’esso paese incluso nell’asse del male, non fece che confermare la percezione di pericolo all’interno del regime, che iniziò dunque ad accelerare il suo programma nucleare.

 

Anche l’inizio di un nuovo mandato presidenziale negli Stati Uniti sembra suscitare con una certa prevedibilità la necessità di effettuare nuovi test e assumere posizioni aggressive, al fine di “avvisare” con una prova di forza che il regime non intende abbandonare le proprie posizioni di fronte a un diverso inquilino nella Casa Bianca.

 

La cronologia dei test, sia missilistici che nucleari, risulta molto utile per capire meglio questo comportamento. Nella primavera 2009, a pochi mesi dall’insediamento di Obama, la Corea del Nord esegue un lancio missilistico il 5 di aprile e il suo secondo test nucleare sotterraneo il 25 di maggio. Il 13 febbraio 2013, neanche un mese dopo l’inizio del secondo mandato di Obama, il regime porta a termine il suo terzo test nucleare sotterraneo, seguito da un ulteriore test missilistico il 18 di maggio dello stesso anno. E ora, a poco tempo dall’insediamento di Donald Trump, la trafila è stata ripetuta come da manuale: test di missili intercontinentali effettuati il 4, 15 e 28 di aprile.

 

Ovviamente, in seguito a ognuna di queste provocazioni vi è stata una dimostrazione di forza parallela degli Stati Uniti, sotto forma di bombardieri strategici o gruppi d’attacco di portaerei dislocati immediatamente nell’area ed esercitazioni congiunte per rassicurare i propri alleati e rispondere a tono alle azioni di Pyongyang. In seguito ai test recenti, Washington ha sì reagito nella stessa maniera, ma vi sono state delle novità sul piano militare che non possono essere ignorate.

 

In primo luogo, va segnalato il ruolo sempre più proattivo della marina giapponese nelle esercitazioni navali con Stati Uniti e Corea del Sud. Il primo maggio si è infatti saputo che la portaelicotteri Izumo, la più grande nave da guerra giapponese dalla seconda guerra mondiale, scorterà una nave americana al di fuori del contesto di esercitazioni. Questo fatto senza precedenti conferma la volontà del governo giapponese di voler approfittare delle tensioni con il vicino nordcoreano per applicare le recenti modifiche all’articolo 9 della costituzione, che consentono per la prima volta in assoluto di impiegare le proprie forze militari a sostegno di un alleato.

 

In secondo luogo, è appena avvenuta l’installazione del sistema americano di difesa anti-missile THAAD in Corea del Sud: un progetto che già Obama avrebbe potuto portare a termine nel suo ultimo mandato e che Trump ha drammaticamente accelerato nel recentissimo periodo, arrivando allo stadio di piena operatività e suscitando la condanna da Pechino e accese proteste nella stessa Corea del Sud.

In questo contesto molto complicato vi è inoltre la concreta possibilità di un ulteriore test nucleare. Foto satellitari recenti, infatti, mostrano un’intensa attività attorno al sito di Punggye-ri, luogo deputato al collaudo degli ordigni.

 

 

Ovviamente non è possibile indovinare ogni mossa di Pyongyang, tuttavia è fondamentale ricordare i precedenti storici del suo comportamento in situazioni di crisi e tenere a mente i fattori che scatenano atteggiamenti aggressivi. Guardando al suo passato, infatti, si può notare una certa regolarità nelle azioni intraprese dal regime e sottintendere quindi la razionalità politica dello stesso, soprattutto se si tiene conto della priorità data alla sopravvivenza del regime oltre qualsiasi altra cosa. Partendo da questi presupposti, si può mettere in prospettiva la cosiddetta imprevedibilità di Kim Jong-un, assumendo una chiave di lettura pragmatica e vicina al punto di vista di un dittatore e di un regime totalitario che usa gli unici strumenti a sua disposizione per mantenere il potere e sopravvivere in un ambiente internazionale incredibilmente ostile.