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Un protettorato europeo per la Libia?

Libia

Oramai da tempo l’Unione Europea vive uno dei suoi momenti peggiori, caratterizzata da pulsioni disgreatorie interne, pulsioni amplificate da una sostanziale incapacità di affrontare, in maniera strategicamente omogenea, la più grande delle crisi migratorie della storia dell’uomo. 
Queste situazioni contingenti stanno portando quotidianamente validi argomenti ai sostenitori dell’isolazionismo estremo, e coloro che spingono per un ritorno ad un’Europa “esclusivamente geografica” hanno buon gioco, anche grazie all’incontenibile flusso di disperati che fuggono da guerra e povertà. Chi spinge per la disgregazione dell’Europa puntano a convincerci che si tratta solo di persone che già sono, o diverranno presto, facili prede di fondamentalismi e “cattivi maestri” islamici i quali vorranno una rivincita sul mondo occidentale per le nostre colpe del passato. 
Cardine di questo scenario è la Libia, Nazione, o ormai ex nazione, alle porte del nostro paese e dell’Europa. La Libia rappresenterà, domani come oggi, il porto di partenza principale per questi flussi incontrollati che non potranno che esacerbare ulteriormente pulsioni xnefobe e crescita di movimenti estremisti nostrani. Parliamo al futuro in quanto, a differenza dell’Egitto del Generale Al-Sisi e della Turchia di Erdogan, non abbiamo in Libia interlocutori con i quali instaurare dialoghi e programmi di contenimento dei flussi migratori, si spera diversi da quelli concordati con l’allora Colonello Libico che spediva i migranti dell’africa sub sahariana a morire di stenti in centri di “accoglienza” nel deserto, riservandosi di sventolarli alla bisogna quale spauracchio di invasione per l’Europa e principalmente per l’Italia. 
Cosa fare quindi in questo momento? La porta Libica è sicuramente il punto più delicato, e pericoloso per la stessa esistenza del’Unione (iniziando dal trattato di Schengen) pertanto l’Unione stessa deve concordare rapidamente un piano di intervento militare, politico e programmatico per la Libia, (l’ordine non è casuale) per garantire la sua stessa sopravvivenza, la sopravvivenza dei principi che l’hanno ispirata ed in prospettiva, fare in modo che il nostri concetti di democrazia, uguaglianza, rispetto diventino patrimonio di quanti più possibile sul pianeta; restiamo umili però, e pensiamo prima al nostro cortile di casa che è nostra diretta responsabilità. Come un fratello maggiore ha il compito di aiutare, vigiliare e intervenire sui fratelli minori o quelli più deboli, così oggi l’Europa tutta ha il dovere di pianificare e attuare un’azione di salvataggio di un paese che non può più tirarsi fuori dal baratro nel quale è stato sprofondato da scelte forse avventate e che peccavano di sopravvalutazione delle capacità di quel popolo di riorganizzarsi e ricominciare un percorso di unità una volta liberi dal giogo del Colonnello. Tutto ciò si è dimostrato una pura illusione, non esiste in Libia una classe dirigente, non esiste una elite in grado di esercitare presa sulle forze armate e sulle borghesie di quel paese. Ma esistono ancora le forze armate della Libia? Sono mai esistite le borghesie, o comunque una classe media cui far riferimento, e tramite la quale attuare politiche realizzando progetti e idee? La risposta è semplice e disarmante: NO. Le forze Armate se così le vogliamo chiamare sono piccoli gruppi tribali di potere che si contendono la supremazia su aree del paese, e le classi medie? Mai esistite, la società Libica non è niente di equiparabile a ciò che noi intendiamo quale organizzazione sociale, famiglie, tribù, clan, senza legge e senza regole, solo una: vince chi sopravvive….in buona sostanza il Caos. Ed è in questo caos, nel quale fanno affari d’oro e proliferano i signori del traffico di esseri umani, che portano a noi, facendolo transitare su quattro pezzi di legno inchiodati, quel problema che loro non sono in grado e non vogliono risolvere; dovremmo forse trattare con queste persone? Dovremo forse trovare un punto di contatto con coloro che in questo momento comandano? Dovremo trattare con coloro che hanno potere di vita o di morte sulle persone? Per me è un altro NO. 
Abbiamo un’altra strada per salvarci e salvare la nostra idea di civiltà, prima di tornare ad essere anche noi ciò che eravamo in passato…tanti piccoli stati a volte in guerra fra loro ( e ben ci hanno segnato nei decenni questi eventi), forse dobbiamo assumere quell’oneroso e difficile ruolo di collettività guida, di collettività responsabile e che è in grado di accettare l’impegno e il sacrificio che un intervento in terra Libica costituirà, un intervento lungo, lunghissimo, ma inevitabile. Il controllo del paese è il primo punto all’ordine del giorno, ma non l’unico. Insieme al controllo del territorio deve essere presente, l’individuazione di quei Libici, uomini e donne (si donne) in grado di svolgere un opera di mediazione, di “traduzione” del messaggio, soprattutto nei confronti delle generazioni più giovani. Se escludiamo un intervento massiccio e in funzione di forza di invasione delle forze armate europee non resta che mettere in conto l’intervento (questo si massiccio) di reparti per operazioni speciali a livello Europeo, l’eliminazione sistematica e silenziosa di capi clan e tribù responsabili della tratta di esseri umani, coloro che sviluppano altro generi di traffici, insomma quella parte di società “unfit” (così la definirebbero oltreoceano) che di certo non può guidare un paese, ma che lo fa in virtù del caos e della legge “del più forte” che vi si è instaurata. A ciò, che sarebbe una delle parti più delicate del progetto, deve essere affiancata un opera di facilitazione, un opera di transizione, dove figure locali più idonee devono, appoggiate dai nostri appararti politici e militari, sostituirsi a questi nuovi “predoni”, il paese dovrà essere guidato in loco da un governo locale sotto protettorato Europeo, esatto Bruxelles dovrà controllare direttamente tramite una apposita commissione il nuovo governo Libico, controllare direttamente le forze armate (inizialmente Europee) e quelle di polizia, gli appartenenti a queste forze di controllo del ordine stabilito dovranno essere addestrare e formate (militarmente e civicamente) presso le nostre scuole militari presso le quali dovranno fare periodicamente ritorno per cicli di studio e “reset” inizialmente frequenti e poi pian piano meno intensi. Contemporaneamente il livello politico, secondo le direttive di Bruxelles, dovrà attuare i piani di riforma e sviluppo di quella che dovrà essere la nuova società Libica, un piano ambizioso e lungo, dal quale però possiamo avere solo da guadagnare perché quei principi per i quali l’Europa è stata insignita del Nobel per la Pace forse potrebbero attecchire anche oltre mediterraneo, spazzare via i sogni di nuovi califfati e società oscurantiste del nuovo millennio e darci un nuovo periodo di pace e stabilità. Tutto molto bello e affascinante, ma sarà così facile? No, ( ed è il terzo) perché dobbiamo essere pronti al sacrificio e disposti all’impegno, sapere che molto probabilmente all’inizio, quando qualcuno dei nostri figli tornerà a casa per essere sepolto, o peggio non tornerà, quelli saranno i momenti più duri e peggiori, sia per chi piangerà che per chi deciderà, e sarà bene essere preparati a quei momenti sapendo che verranno per certo e che dovremo superarli, altrimenti meglio già da ora salvare quelle vite, e nascondere la testa sotto la sabbia sperando che il leone passando non noti il resto del corpo.
È per questi motivi che un protettorato europeo è una delle soluzioni auspicabili per il conflitto in Libia, un protettorato che metta al primo posto il benessere del popolo libico, dal quale discenderà automaticamente la sicurezza per il nostro paese e tutta l’Europa meridionale.