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Venezuela: Maduro è finito, ma il regime tenterà di resitere

Venezuela: Maduro è finito, ma il regime tenterà di resitere

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Maduro non ha più agibilità politica come presidente del Venezuela, non gode del sostegno della maggioranza della popolazione, così come contro di lui si sono espressi quasi tutti i paesi occidentali (Italia a parte) e molte nazioni americane; solo la Turchia, la Russia, l’Iran, il Messico e la Bolivia affermano di riconoscere proprio Maduro come presidente del Venezuela.
La crisi a Caracas è iniziata molto mesi fa, è iniziata dal punto di vista politico quando Maduro ha tradito la costituzione venezuelana e ha negato la possibilità di un referendum che avrebbe potuto sfiduciarlo, con il fondamentale appoggio della corte suprema di Caracas, composta quasi esclusivamente da elementi organici al partito chavista che sostiene Maduro.
Ma la crisi, quella economica, è iniziata ancora prima, quando Maduro, e Chavez prima di lui, non sono stati capaci di sviluppare per il Venezuela una economia alternativa alla produzione e vendita degli idrocarburi.
Dal 2014, quando il prezzo del greggio è sceso al di sotto dei 100 dollari per barile, la carenza di valuta pregiata, la stagnazione economica, l’inflazione a nove zeri, il crollo del potere di acquisto dei salari, la carenza di beni di prima necessità, ha fatto sì che i venezuelani vedessero che l’utopia post-marxista, intrisa di una strana forma di cattolicesimo del partito al potere, non stava portando né uguaglianza né benessere, ma fame, disperazione e insicurezza.
In questo quadro desolante solo le forze armate mantengono privilegi e un adeguato potere di acquisto legato al loro salario. È questo elemento che ha evitato al regime comunista di non crollare. Uno stile simile al nord-coreano SongUn (prima l’esercito) che ha permesso ai Kim di evitare rivolte di una popolazione che moriva letteralmente di fame per la carenza di ogni cibo, anche di base come il riso.
Ma le forze armate venezuelane non sono granitiche come quelle di Pyongyang. Negli ultimi due anni sono stati almeno tre i tentativi di rivolta, non sostenuti da nessuno dei paesi occidentali, o dall’Organizzazione degli Stati Americani. I responsabili sono stati eliminati da Maduro in poche ore, e la repressione era poi proseguita prendendo di mira famigliari e amici dei rivoltosi.
Oggi però la situazione è differente. Maduro non ha osato cercare l’arresto di Guaidò, temendo di fornire un pretesto per un intervento diretto degli Stati Uniti d’America. Maduro non ha tentato di soffocare nel sangue la protesta dei partiti dell’opposizione, non certo per spirito democratico ma per un mero calcolo politico.
Ma il dittatore venezuelano ha paura, e ora come misura atta a mantenere un maggiore controllo delle forze armate, e allo stesso tempo non far comprendere alla popolazione se sarà l’esercito o la milizia paramilitare del partito chavista ad intervenire in caso egli decidesse per la repressione, Maduro ha ordinato l’incorporazione della milizia paramilitare chavista all’interno delle forze armate, che oggi è forte di circa 50000 unità.
La situazione di stallo potrebbe evolvere rapidamente a partire dal prossimo fine settimana. Il presidente riconosciuto dagli Stati Uniti, Guaidò, ha chiesto esplicitamente l’invio di aiuti umanitari al Venezuela, facendone domanda espressa a Brasile, Colombia e Stati Uniti d’America. Le richieste di Guaidò non sono casuali, infatti perché possano arrivare al Venezuela  aiuti, più o meno umanitari, le possibili vie di accesso sono appunto tre: la Colombia, il Brasile o i porti del paese ora ancora retto da Maduro.
Il sostegno a Guaidò è in continua crescita e diversi ufficiali delle forze armate non nascondono più le loro simpatie per il nuovo presidente.
Ora affinché lo stallo evolva verso il confronto diretto manca soltanto l’innesco, politico o armato che sia.
L’innesco politico potrebbe essere la presa pacifica, da parte dei sostenitori di Guaidò, di uno dei tre punti prima enunciati, e cioè un valico di confine con Colombia o Brasile, oppure un porto.
L’ipotesi più probabile è appunto la possibilità di gestire un porto del paese, e da quel punto permettere l’arrivo di aiuti umanitari internazionali, in gran parte americani. Ma anche l’atteggiamento del governo Maduro, che si ostina a bloccare qualsiasi supporto, anche di tipo alimentare, alla sua stessa popolazione potrebbe dare il via ad una serie di proteste organizzate atte ad “aprire” un corridoio di terra per far affluire in Venezuela cibo e medicinali.
L’innesco armato potrebbe essere invece determinato dalla defezione di una brigata delle forze terrestri o più probabilmente di quelle aviotrasportate, che potrebbero fungere da nucleo iniziale di una rivolta armata. In questo caso l’appoggio armato americano potrebbe giungere rapidamente, al fine di evitare un conflitto, incerto e devastante per la popolazione, tra i militari fedeli a Maduro e il nucleo dei rivoltosi.
In caso di intervento militare diretto, l’unica minaccia al contingente americano deriverebbe dai sistemi di difesa aerea S-300 presenti a Caracas. Il Venezuela dispone di una ventina di caccia intercettori SU-30 in grado di contrastare una eventuale azione aerea colombiana ma non un eventuale intervento americano; la marina non ha capacità tali che possano permetterle di contrastare un’azione degli Usa così come mancano moderni sistemi di difesa costiera. Se ci sarà un intervento militare americano va immaginato come una azione aeronavale, con una piccola componente terrestre atta a difendere i principali porti e gli aeroporti internazionali, ma nulla di più, e ancora meno va immaginato come una “occupazione” del Venezuela.

Per prevenire un innesco “armato” della contro-rivoluzione venezuelana, Maduro fa affidamento non solo alle sue forze armate ma anche su consiglieri ed operatori militari stranieri. Non è un segreto la presenza nel paese di personale riferibile all’Hezbollah libanese, così come la stessa Reuters ha riferito dell’arrivo a Caracas, per via aerea, di circa 400 contractor della società russa “Wagner” specializzata nel fornire uomini altamente addestrati da impiegare in scenari di conflitto dove Mosca non può essere attore diretto.

Maduro sembra chiedere la mediazione del Vaticano, che seppur non schierato ufficialmente, è da sempre vicino alle posizioni del dittatore venezuelano, mentre la chiesa locale è in gran parte e apertamente schierata con Guaidò. L’unica via possibile ad una mediazione passa per libere elezioni presidenziali, elemento che oggi si può escludere in quanto Maduro ha più volte affermato che tali elezioni si svolgeranno sì, mal nel 2025…

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