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La geopolitica del controllo energetico dell’eurasia

gasdotti

Ospitiamo oggi 29 Marzo 2015, con piacere il post di un nostro amico e lettore. Ringraziamo Federico, per questo complesso post. Buona lettura

Prologo

Lasciate per un momento da parte l’odio religioso, l’estremismo, il terrorismo, il conflitto locale e la narrativa mainstream su l’ISIS e il jihadismo. Pur essendo problemi molto seri per la nostra sicurezza e stabilità economica, che vanno affrontati e contrastati con tutti i mezzi a nostra disposizione, sono solo i sintomi della grande battaglia energetica in atto che decreterà vincitori e vinti dell’eurasia.

Per avere ben chiaro il quadro nell’insieme, è necessario sottolineare l’importanza strategica delle fonti energetiche ma soprattutto delle infrastrutture e dei mezzi che permettono all’energia di giungere dal produttore al consumatore, alimentando quella crescita economica e quel benessere senza i quali la nostra vita sarebbe profondamente diversa.

Nessun paese può dirsi davvero indipendente se non è in grado di controllare politicamente e militarmente le rotte energetiche che alimentano le sue industrie, i suoi trasporti, le sue abitazioni, insomma la sua intera economia.

Va da se che esercitare un controllo sull’energia e sulle rotte energetiche globali permette ad un paese di possedere un enorme potere. Solitamente il potere di controllare i commerci globali, primo fra tutti al giorno d’oggi quello delle fonti energetiche, si porta dietro il privilegio d’imporre le proprie politiche economiche e valutarie a tutto il mondo civilizzato.

Questo potere è e sarà inevitabilmente conteso.

Utilizzando solo fonti disponibili in rete, proverò ad unire tutti i tasselli della,

Battaglia energetica per l’eurasia

Attualmente le forniture di gas e petrolio all’Europa seguono principalmente queste direttive:

• Dalla Russia, attraverso l’est europa (passando per Bielorussia e Ucraina)
• Dal Nord Africa (Algeria e Libia) attraverso Italia e Spagna.
• A queste due direttrici fanno sostanzialmente eccezione la Germania, che prende gas direttamente dalla Russia senza passare per intermediari con il gasdotto sottomarino North Stream; la Francia e la Gran Bretagna che l’una con il nucleare l’altra con il petrolio del mar del nord, sono relativamente meno dipendenti dalle forniture energetiche dall’estero.
• A completare il quadro ci sono, il gas prodotto dalla Norvegia e quello proveniente via mare principalmente dal Qatar che attraversa però tre delicati e potenzialmente instabili “stretti” marittimi: Hormuz (Iran), Bad el Mandeb (Yemen) e il Canale di Suez (Egitto).

Da anni gli Stati Uniti vedono con apprensione la crescente influenza della Russia sull’Europa. Troppo spesso la dipendenza europea dal gas russo si è trasformata in un’arma di pressione politica nelle mani di Mosca (http://caratteriliberi.eu/2014/09/12/mondo/russia-larma-energetica/). A farne le spese, in termini di instabilità o comunque forte dipendenza politica, i governi dell’est europeo (come Ucraina, Bielorussia e Ungheria), dei balcani (come Serbia e Bulgaria) ma anche in parte anche quelli dei paesi baltici.

Tale crescente influenza viene naturalmente vista con ostilità dagli Stati Uniti, desiderosi di mantenere un controllo totale sulla politica estera di questi paesi, e certamente spaventati dalla possibile avanzata della Russia, che per quanto ci si è sforzati di ipotizzare il contrario, sarà sempre vista come potenza antagonista da Washington.

Nel tentativo di limitare la crescente influenza russa, provando quindi a spezzare la dipendenza energetica dell’Europa dalle forniture di Mosca, tre le soluzioni studiate dagli strateghi di Washington e dai suoi alleati europei:

• Il veloce sviluppo di terminal di gas liquido, diretti specialmente per i piccoli paesi costieri europei, come quelli del baltico (http://www.italiaoggi.it/news/dettaglio_news.asp?id=201410271444054351&chkAgenzie=TMFI&titolo=Lituania,primoterminaldigasliquidonelBaltico,alternativaaRussia)
• Lo sviluppo delle tecniche di fratturazione idraulica (http://it.wikipedia.org/wiki/Fratturazione_idraulica) nel tentativo interno di trasformarsi da importatori netti a esportatori netti di gas e petrolio, (http://www.insightweb.it/web/content/gli-usa-e-la-trasformazione-del-mercato-energetico), e laddove possibile esterno, direttamente in territorio europeo (http://www.lindro.it/0-economia/2014-07-18/135372-la-romania-energeticamente-indipendente-dalla-russia), il tutto nonostante gli ancora grandi limiti a lungo termine di questa particolare tecnica estrattiva.
• Il progetto di un maestoso gasdotto che possa collegare i giacimenti del Mar Caspio (Azerbaijan) e in futuro quelli dell’Iran, al sud Europa (attraverso Grecia e Albania) e al centro europa, passando attraverso i balcani.
Ed è proprio da quest’ultimo progetto che dobbiamo partire per raggiungere una visione d’insieme su TUTTE le crisi geopolitiche che circondano oggi l’Europa, e sulle zone calde a rischio di grandi sconvolgimenti nel breve-medio termine.

L’idea iniziale di Washington per vincere sul tempo il progetto russo del gasdotto South Stream (il mastodontico gasdotto che attraverso il Mar Nero avrebbe dovuto rifornire di gas russo i balcani e il centro europa http://it.wikipedia.org/wiki/South_Stream gettando le basi per una dipendenza decennale dell’europa dall’energia russa), era il progetto Nabucco (http://it.wikipedia.org/wiki/Nabucco_%28gasdotto%29).

Il Nabucco, tale ambiziosa struttura, avrebbe dovuto collegare i giacimenti di gas di Azerbaijan e Turkmenistan (ed in futuro il Kazakistan, corteggiato però anche dal South Stream russo, e l’Iran) passando attraverso la Turchia (che come vedremo è oggi al “centro” di molte crisi collegate tra di loro), fino all’Europa centrale, indebolendo così l’arma del ricatto energetico nelle mani di Mosca.

Troppi i problemi intorno al progetto a guida americana e tutti di natura geopolitica.

Il gas dell’Azerbaijan non è sufficiente infatti per soddisfare l’enorme domanda di gas europeo; il Turkmenistan era troppo influenzabile da Mosca così come il Kazakistan, e i ricchi giacimenti iraniani che avrebbero davvero fatto la differenza, erano (e per ora lo sono ancora) controllati da un governo ostile alle politiche di Washington nella regione. Che fare?

La prima soluzione studiata dagli strateghi americani è stata quella che potremmo definire “militarista”. Grandi teorici di questa strategia sono stati i consiglieri neoconservatori dell’amministrazione Bush.

Questo sostanzialmente il grande piano per la regione:

• Garantire una presenza militare in Afghanistan per influenzare, con la vicinanza militare, i paesi delle steppe dell’Asia Centrale, come il Turkmenistan, al fine di incentivarli a sfidare quantomeno moderatamente lo strapotere russo protetti in una qualche misura dalla possibile “via di fuga” militare americana.

• “Accerchiare” militarmente l’Iran (attraverso la presenza militare in Iraq e in Afghanistan) per poi in seguito invadere porzioni di territorio iraniano (usando la giustificazione di mettere in sicurezza le coste del Golfo Persico dal terrorismo jihadista), ottenendo così il pieno controllo dei giacimenti marittimi di gas, come quello di Pars South condiviso con l’alleato statunitense Qatar (http://en.wikipedia.org/wiki/South_Pars_/_North_Dome_Gas-Condensate_field)

• Contemporaneamente alla conquista (o resa) di porzioni territoriali dell’Iran, la stabilizzazione del territorio iracheno avrebbe consentito la costruzione di un gasdotto per collegare gli immensi giacimenti qatarioti alla Turchia, attraverso l’Iraq (o eventualmente attraverso una Siria bonificata in seguito, anche se più complesso visto la protezione russa di Damasco) e aggiungere così la linfa vitale necessaria per la buona riuscita del progetto Nabucco.

Non è importante qui analizzare il come (la difficile gestione dell’opinione pubblica internazionale; la difficoltà delle forze armate moderne nel condurre una guerriglia in territori urbani; la volontà delle multinazionali e delle banche finanziatrici dell’operazione militare, di chiudere in fretta i lucrosi dividendi contrattuali nello sfruttamento delle risorse energetiche, sottovalutando in tal modo la stabilità globale dell’Iraq a lungo termine), fatto sta che la strategia militarista statunitense è per lo più fallita.

Unica importante eccezione l’essere riusciti a mantenere una presenza militare permanente in Afghanistan (lasciate stare le chiacchiere ad uso politico, contingenti operativi USA in Afghanistan saranno in loco in maniera permanente http://www.agi.it/estero/notizie/afghanistan_basi_usa_kandahar_e_jalalabad_attive_nel_2016-201503190230-est-rt10005).

Presenza USA sfruttata dal Turkmenistan (già concorrente di Mosca per le forniture energetiche ad est verso la Cina http://www.lindro.it/0-politica/2014-11-03/157816-turkmenistan-costruire-sul-gas) per stringere alleanze con Azerbaijan e Turchia in chiave anti-Mosca (http://www.notiziegeopolitiche.net/?p=41189 http://www.osservatorioitaliano.org/read/134838/energia-azerbaigian-turkmenistan-e-turchia-costituiscono-lalleanza-energetica), nella solita battaglia del gas per le forniture energetiche verso l’europa.

La Russia, che osservava con preoccupazione i progetti di Washington, ha atteso il 2008 con un Presidente statunitense ormai prossimo alla scadenza del suo secondo e ultimo mandato alla Casa Bianca, per rispondere ai piani americani.

Nell’agosto del 2008, l’attacco alla Georgia (http://it.wikipedia.org/wiki/Seconda_guerra_in_Ossezia_del_Sud) in risposta alle provocazioni georgiane nella regione separatista dell’Ossezia del Sud, ha rimesso in chiaro la volontà di Mosca di dire la sua nella regione caucasica (snodo strategico indispensabile per i gasdotti diretti in Turchia http://www.bp.com/en_az/caspian/operationsprojects/pipelines/SCP.html).

La debole risposta americana, che già intravedeva all’orizzonte i primi segni della crisi economica più grave dal 1929 e nel pieno di divisioni interne pre-elettorali, hanno lanciato un messaggio chiaro e semplice al mondo: gli USA non possono continuare a dominare incontrastati ed imporre il proprio potere in tutto il mondo.

I primi anni della presidenza Obama, sono stati a mio modo di vedere anni di “vuoto” strategico. I diversi attori regionali, scossi dal momento di smarrimento decisionale americano, si sono mossi ognuno per conto proprio, nel cercare di ottenere vantaggi dalla instabilità creatasi nel cuore del medio oriente. In Iraq.

L’Iran e paesi del Golfo, dopo un indiretto confronto settarico, giocato attraverso il terrorismo islamico, hanno poi provato una difficile convivenza all’interno del II governo iracheno di Nuri Al Maliki.

Nonostante i tentativi di mediazione statunitensi e i frequenti tentativi di dialogo tra la famiglia regnante saudita e il governo iraniano, l’effimera stabilità dell’Iraq era destinata a crollare.

Grazie ad una maggiore visione strategica ed una maggiore deterrenza militare (la minaccia della chiusura dello stretto di Hormuz) l’Iran, che aveva superato brillantemente l’ultimo “colpo” di coda della strategia Bush (la rivoluzione colorata dell’onda verde nel tentativo fallito di regime change), è riuscito ad ottenere l’influenza necessaria sulla Siria e sull’Iraq rivelando all’intera regione il grande disegno strategico per estendere il dominio sulla regione: il gasdotto “dell’amicizia” Iran-Iraq-Siria. Date un’occhiata a questo articolo apparso su Agi-Energia nel 2011 http://www.agienergia.it/Notizia.aspx?idd=699&id=45&ante=0).

Il gasdotto, nei piani iraniani, sarebbe terminato in territorio siriano, sotto il vigile occhio delle forze armate russe (protettrici del governo siriano di Assad) e avrebbe potuto in futuro proseguire il suo percorso in Turchia o in alternativa attraverso il mediterraneo, passando per il terminal di Cipro verso l’Europa (a sua volta interessato ad investire nel settore in seguito alla recente scoperta di giacimenti di gas nei pressi delle coste che hanno messo in agitazione non poco i turchi (http://www.corriere.it/economia/14_novembre_16/gas-cipro-fa-gola-ad-ankara-scontro-arriva-all-unione-europea-25b0d9a4-6da3-11e4-a925-1745c90ecb18.shtml).

La Russia, seppur vedendo nell’Iran un concorrente diretto sul mercato, avrebbe avuto il vantaggio di ottenere un controllo sullo snodo finale del gasdotto (attraverso le basi militari russe in Siria) e la possibilità quindi di ergersi alla testa di un potentissimo cartello energetico formato in alleanza strategica con l’Iran. Con quest’ultimo avrebbe poi potuto concludere un accordo politico globale, dal Mar Caspio, all’Asia centrale, fino all’intero medio oriente, passando per l’instabile caucaso e approdando sulle coste del mediterraneo orientale. Spartendo profitti energetici e commerciali da est (con la Cina e l’Asia) a ovest ( con l’Europa). In altre parole, un vero e proprio incubo strategico per gli USA e l’occidente.

La Turchia, paese più prossimo ai movimenti in atto, sarebbe diventata una mera pedina in questo gioco: o accettava il gas dall’Iran, scomoda e crescente potenza confinante, o l’Iran avrebbe potuto mandare il gas attraverso Cipro. Eliminato l’Iran dai possibili rifornitori del Nabucco, la Russia, con il completamento del progetto concorrente, il South Stream, avrebbe più che dimezzato l’utilità dei gasdotti tra Azerbaijan e Turchia, lasciando ad Ankara le sole briciole dei “diritti” di passaggio nel Mar Nero.

Particolare non da poco poi, l’Iran avrebbe potuto rifornire direttamente i suoi alleati in Siria e in Libano, estendendo definitivamente la sua influenza e rafforzando militarmente entrambi i territori (oltre all’Iraq sempre più filo-iraniano), la Turchia avrebbe avuto su tutti i suoi confini sud-orientali una vera e propria mezzaluna filo-sciita capace a quel punto di influenzare, vuoi destabilizzando il paese attraverso il finanziamento del separatismo curdo, vuoi attraverso il commercio, l’intera politica interna di Ankara.

In quei giorni, c’era poi un’altra questione non da poco in ballo. La Turchia guardava con interesse all’alternativa sunnita del gasdotto dell’amicizia (http://www.thenational.ae/business/energy/qatar-seeks-gas-pipeline-to-turkey):

il gasdotto progettato per congiungere i giacimenti qatarioti alle coste siriane passando per Arabia Saudita e Giordania (non alternativo al Nabucco ma complementare, specialmente in assenza dell’Iran come fornitore energetico).

C’era solo un problema in tutto questo: i russi con la loro influenza e protezione totale su Damasco.

Abbiamo quindi abbastanza elementi per capire perché Turchia, Qatar e stati del golfo – forse ancor più preoccupati dei turchi dall’espansione iraniana in Iraq e Siria (oltre ovviamente alcune cerchie d’interesse statunitensi, britanniche e francesi) hanno finanziato, prima la rivolta contro Assad e dopo la destabilizzazione dell’Iraq.

Di certo sono stati fatti degli errori di calcolo, e risvegliato forze che in futuro potranno anche minacciare le stesse monarchie del Golfo, ma non si dice un’inesattezza quando si sostiene che l’ISIS è figlio dei finanziatori “sunniti”.

Le cose non sono però andate secondo i piani: La Siria grazie all’aiuto iraniano e soprattutto russo è riuscita a resistere e sventare anche un congegnato tentativo di attacco occidentale (spinto fortemente dalla Francia, portavoce degli interessi degli stati del golfo e creato dal casus belli dell’utilizzo delle armi chimiche). I motivi per i quali gli Stati Uniti, quasi trascinati in guerra dalle potenze del golfo e da alcune potenze occidentali, sono stati costretti a richiamare le navi militari in procinto di iniziare l’attacco finale per spodestare Assad, sono stati ben descritti in quest’articolo decisamente interessante tradotto da australianvoice (http://www.ossin.org/analisi-e-interventi/perche-l-occidente-odia-putin-la-ragione-segreta.html): la ragione del perché “.. dopo anni di tensioni crescenti e di minacce, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno deciso di non attaccare la Siria, così come avevano deciso… è l’ampiezza della concentrazione di truppe della Siria, della Russia, e anche della Cina. I Russi e i Cinesi non si sono accontentati di bloccare gli Stati Uniti in ambito di Consiglio di Sicurezza. Essi hanno votato anche con la loro forza militare. Non apprezzavano quel che gli Stati Uniti avevano progettato contro la Siria e hanno fatto sapere con chiarezza che sarebbero ricorsi anche alla forza per fermarli. Quando i Cinesi hanno inviato l’ultima volta loro navi da guerra nel Mediterraneo? La Russia e la Cina non approvano chiaramente il modo in cui gli Stati Uniti decidono di invadere un paese dopo l’altro”.

In altre parole, la Russia (ma anche la Cina e l’Iran) hanno messo fine allo strapotere assoluto delle volontà statunitensi. Dopo la rinuncia ad intervenire nella difesa degli interessi in Georgia nel 2008, ecco che gli USA nel 2013 dimostravano di fronte al mondo l’ulteriore prova della loro debolezza strategica.

In quel momento, gli strateghi politici di Washington sono stati costretti a pensare ad una nuova strategia, che tenesse conto della ormai manifesta debolezza relativa degli USA nei confronti di un crescente numero di nemici.

Ecco che gli USA intravedono un disegno alternativo a quello “militarista” per ottenere lo stesso il controllo energetico e quindi politico ed economico dell’eurasia.

Potremmo definire questa strategia come quella “dell’appeasement e della saldatura dei confini”.

Questo sostanzialmente il piano:

• Se non posso battere il mio nemico posso tentare di portarlo dalla mia parte. Questo il senso dell’appeasement con l’Iran che nei piani servirà a liberare il gas iraniano verso l’Europa e ottenere allo stesso tempo influenza su uno dei principali fornitori di petrolio alla Cina.
• Portare l’Europa e la Russia allo scontro e costringere gli alleati europei al riarmo dividendo i “costi” del contenimento strategico di Russia e Cina (stessa cosa dovrà infatti esser fatta con gli alleati americani nel sudest asiatico impegnati in feroci dispute marittime con Pechino): in altre parole la “saldatura” dei confini.
• Tenere il medio oriente nel caos affinché né Iran, né altre potenze regionali possano acquisire talmente potere da poter fare a meno di quanto pensato da Washington (che potrà sempre ergersi ad arbitro del balance of power mediorientale, come lo è stato l’impero britannico per il continente europeo in seguito alle guerre napoleoniche).
• Probabilmente per incentivare gli stati europei al riarmo potrebbe rendersi necessario, evitare di esercitare un ruolo stabilizzatore e non impegnarsi attivamente del nordafrica, nonostante le crescenti richieste di aiuto europee, contrastando anche con il caos i tentativi russi di influenzare la zona attraverso la sempre più salda amicizia con l’Egitto.
L’applicazione pratica di questa strategia ha portato allo scoppio della crisi ucraina che oltre a colpire al cuore i confini della Russia (dando una sorta di risposta a quest’ultima, in seguito alle sostanziali sconfitte diplomatiche in Georgia e in Siria), serve a interrompere la solidità delle forniture di gas russo all’europa orientale (con potenziale vantaggio di breve termine per paesi come la Polonia che nonostante l’attuale dipendenza dalla Russia, attraverso lo shale gas in futuro, e i rigassificatori di gas liquido provenienti soprattutto dal Qatar http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-03-12/la-polonia-si-smarca-russia-e-punta-shale-gas-101320.shtml?uuid=ABBNnU2 è pronta gradualmente a smarcarsi dalla dipendenza russa ed anzi a rifornire i partner europei utilizzando la rete di gasdotti esistenti. Ma anche paesi come la Norvegia e Danimarca che compatibilmente con i bassi profitti di oggi, potrebbero in futuro investire ulteriormente nel proprio mercato estrattivo).

Mettere in dubbio la solidità delle forniture di gas dall’est europa ha portato USA e Russia a scoprire definitivamente le carte.

1. La Russia con una mossa a sorpresa (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-01/putin-russia-abbandona-progetto-gasdotto-south-stream–204015.shtml?uuid=AB1gsVKC) ha puntato dritto ad accaparrarsi l’appoggio turco (urtato anche dall’indisponibilità di Washington ad impegnarsi attivamente nel regime change in Siria), annunciando al mondo la fine del progetto South Stream e la nascita del suo sostituito, il Turkish Stream, che passando per il Mar Nero prevede di approdare direttamente in Turchia (a differenza del south stream) e da lì in Grecia ed eventualmente nei balcani (ricalcando il percorso dell’attuale Blue stream, a capienza ridotta). Con questa mossa la Russia, che aveva visto la crescente impossibilità a far passare il gasdotto south stream nei balcani sempre più oggetto delle pressioni statunitensi ed europee, riporta nuovamente al centro della scena la Turchia di Erdogan assetata di protagonismo che ora è libera di giocare su più fronti e tentare di ergersi ad hub energetico, divisa tra il TANAP ( http://www.panorama.it/news/oltrefrontiera/erdogan-scommette-gadotto-tanap/) e il progetto russo, già dichiarati “non concorrenti” dalla leadership turca. In più annullando il progetto South Stream, dove molti paesi europei, specialmente nei balcani, avevano investito in questi anni, Mosca mira a creare attriti politico/giudiziari intra-europei e tra europei e statunitensi, di rifiuto alle pressioni di Washington.

2. Gli Stati Uniti sanno che il gas dall’Azerbaijan, e l’inaffidabilità politica del Turkmenistan non potranno sostituire degnamente il gas russo all’europa, ma se al gas del Mar Caspio potesse unirsi quello dell’Iran, il risultato per i russi sarebbe devastante. Ecco il perché dell’accelerazione dell’amministrazione Obama nella politica di riavvicinamento all’Iran, approfittando anche dell’inevitabile rallentamento del progetto russo Turkish Stream in considerazione del malridotto contesto economico russo (causato in buona parte dal calo del prezzo del petrolio, unito alle sanzioni imposte dall’europa in seguito alla crisi ucraina) che invita alla cautela nel valutare ogni investimento. Nel tentativo di riavvicinamento all’Iran gli USA sperano di far rivivere il progetto Nabucco con il gas degli Ayatollah, (http://www.agccommunication.eu/inostriservizi-it/informazione-e-formazione/osservatorio-est/caucaso/10342-nabucco-gas-transito) facendo del corridoio meridionale (http://www.tap-ag.it/il-gasdotto/la-visione-dinsieme/il-corridoio-meridionale-del-gas) solo l’avanguardia di un progetto ben più vasto.
Nei piani americani di appeasement all’Iran, non c’è certo quello di consegnare la regione mediorientale nelle mani di Teheran, che anzi pensano di poter “riavvicinare” ma contenere, magari rimandando truppe in Iraq all’occorrenza con la “scusa” dell’ISIS.

Ciò nonostante, il troppo rapido riavvicinamento tra USA e Iran spaventa terribilmente le altre potenze regionali che temono che la fretta di Washington (indotta anche da ragioni prettamente di politica interna) di concludere un accordo con Teheran, consegni la regione nelle mani degli sciiti.

Ad ogni azione corrisponde una reazione. Abbiamo visto come la Russia ha reagito alla crisi ucraina riportando la Turchia al centro della scena, tentando di dividere l’unità occidentale e europea e spostando le sue attenzioni ad est, avvantaggiando così l’avversario statunitense cinese (anche se è allo stesso tempo una minaccia strategica futura per la stessa Russia). O come le monarchie del golfo hanno reagito al progetto del gasdotto dell’amicizia tra Iran-Iraq-Siria.

Vediamo ora come stanno reagendo le potenze regionali alla mutata strategia statunitense.

Le monarchie del Golfo hanno letteralmente dichiarato guerra alla potenza iraniana. Yemen, Siria e Iraq continueranno ad essere terreno di scontro armato con le milizie filo-iraniane. Il Libano, dove risiede il più grande gruppo militare filo-iraniano, Hezbollah, potrebbe essere presto oggetto delle mire di Israele, ormai allineato alle monarchie del golfo quando si tratta di combattere il nemico comune iraniano.

Su Israele poi pesa anche la relativamente recente scoperta dell’immenso giacimento di gas Leviathan (http://www.geopolitica-rivista.org/16877/il-bacino-levantino-disraele-una-nuova-maledizione-geopolitica/) che oltre a riportare attrito con la Turchia, potrebbe rappresentare l’ennesimo concorrente nelle forniture energetiche verso l’Europa in un futuro non troppo lontano.

La Turchia, desiderosa di sfruttare l’occasione storica che gli si para dinnanzi, al momento centrale nelle strategie di Russia e USA, preme sull’acceleratore di entrambi i progetti (Turkish Stream e TANAP). Per farlo è disposta anche a fare la sua parte per “somalizzare” il nord africa, rendendo così instabili le forniture energetiche dalla Libia (dove finanzia attivamente milizie jihadiste che controllano Tripoli e Misurata), e chissà in futuro anche dell’Algeria (magari destabilizzando il transito tunisino del gasdotto) e spingere così i paesi europei (prima fra tutti proprio l’Italia) ad investire velocemente in entrambi i progetti (TANAP e Turkish Stream).

È bene sottolineare quindi che dall’ambigua politica turca prende vita buona parte del jihadismo davanti le nostre coste. E questo ci fa capire come nonostante i proclami e le attese dell’ONU, non tutte le forze in campo hanno interesse alla stabilità delle Libia.

Meno chiaro, ma egualmente fondamentale anche il contributo del Qatar all’instabilità. Doha gioca infatti una particolare politica estera: molto aggressiva nel finanziare le rivolte nei paesi musulmani, il Qatar mira a dare sfogo alla ricerca di profitti dei capitali accumulati con i proventi della vendita di petrolio e gas, finanziando forze politiche a dir poco oscure nei paesi del nord africa (ed estendere così il suo potere geopolitico) non avendo ancora perso la speranza di mettere le mani sulla politica interna egiziana e specialmente sul canale di Suez, vitale punto di passaggio dell’unica vera alternativa al gasdotto verso la Siria, le esportazioni via mare di gas liquido verso l’Europa (chi controlla Suez alla lunga controlla il Qatar) (http://www.internazionale.it/reportage/2014/11/04/lo-stato-del-gas). È in chiave anti-Qatar (oltre che anti-Arabia Saudita) che va letta anche la recente escalation di violenze nello Yemen, rimaste sopite dal 2011 e riesplose con violenza nelle ultime ore anche nel tentativo di influenzare i colloqui tra Iran e Stati Uniti. Lo Yemen affaccia sull’altro stretto indispensabile alle esportazioni qatariote. Mai le monarchie del golfo potranno accettare di lasciare il paese nelle mani dei ribelli filo-sciiti, almeno finché quest’ultimi non accettino (forzati dal peso delle armi) di fare a meno del sostegno iraniano.

Previsioni breve-medio termine:

• Crisi Ucraina: Per quanto riguarda l’Ucraina l’obiettivo degli USA è isolare il più possibile la Russia dall’Europa (economicamente) e fare in modo che quest’ultima riarmi (estendendo così la forza della NATO) liberando risorse che gli Stati Uniti potranno concentrare nei loro sforzi di contenimento contro la Cina nel sudest asiatico. Nessuno ha interesse in una guerra totale con la Russia. Ma la crisi non è qui per risolversi ed è anzi probabile che la vera escalation debba ancora cominciare. Il collasso totale e la balcanizzazione dell’Ucraina sono un’altra delle possibilità: uno stato fallito ai confini russi è elemento di debolezza per Mosca non di forza, una Russia costretta a ricorrere alle armi diviene una minaccia per l’Europa, non più un partner. Anche se remota, non è da escludere l’ipotesi che anche in Russia, la lotta tra interessi interni posti sotto pressione dallo stato economico di guerra, possano provocare pesanti sconvolgimenti al vertice decisionale della leadership al potere, aprendo scenari oggi difficilmente immaginabili.
• Accordo rapido USA-Iran: Per quanto riguarda il Medio Oriente gli USA vogliono raggiungere velocemente un accordo con l’Iran, e arruolare le riserve di gas iraniano nella battaglia energetica di lungo periodo contro la Russia. Inoltre avere un “peso” sulla politica iraniana permetterà agli USA di esercitare una sorta di “controllo” a monte sulle forniture energetiche cinesi dall’Iran (già controllate a valle sullo stretto di Malacca), oggi oggetto di sconti e privilegi a beneficio dei cinesi, accettati da Teheran più per mancanza di alternative e per copertura strategica. L’accordo potrebbe teoricamente spingere le monarchie del golfo verso la Cina ma quello preoccupa meno gli USA almeno finché avranno lo strapotere navale per controllare le rotte energetiche marittime, e finché i generali e gli eserciti arabi saranno dipendenti dall’influenza del Pentagono.
• Balance of Power in Medio Oriente: Creare un nuovo equilibrio di potere in Medio Oriente incentrato sul balance of power tra le potenze regionali, accettando quindi anche di restare in disparte su regolamenti di conti in crisi locali, ma sempre pronti eventualmente ad ergersi ad arbitro, ed intervenire nella regione. Ad esempio in Iraq, per imporre il proprio “peso” diplomatico nella spartizione tra le diverse zone d’influenza del paese.
• Controllo del mercato energetico: Controllare il mercato energetico è fondamentale per l’obiettivo ultimo degli Stati Uniti: isolare economicamente la Cina (che sta contrastando questa politica entrando sempre più pesantemente, per ora solo finanziariamente, nei “vuoti” lasciati dal consolidamento USA dei confini) e la Russia, rispettivamente dai vicini nel sudest asiatico e dall’Europa, e mantenere così saldo il dominio del dollaro nei commerci internazionali, attraverso la quotazione in valuta statunitense dei principali mercati energetici mondiali.
• Stati a immediato rischio destabilizzazione: Per raggiungere questo obiettivo molti altri stati sono a rischio di essere destabilizzati – economicamente e politicamente (oltre ai molti che già versano in queste condizioni). A cominciare dai paesi delle steppe (Turkmenistan in testa), a passare per la Turchia (vero “centro” della lotta energetica) a continuare con l’europa balcanica e centrale (Bulgaria, Serbia e Ungheria) senza escludere da questa lista la Grecia (vulnerabile e imprevedibile anche per via della crisi economica senza precedenti che sta attraversando da anni), per finire con il nord africa (Tunisia ma anche Algeria senza escludere un ritorno di una forte instabilità terroristica anche nello stesso Egitto, specialmente in caso di fallimento di al Sisi in Libia, vero epicentro del terremoto nordafricano)
• Accordo graduale USA-Iran: Anche se le probabilità di chiudere presto un accordo sul programma nucleare sono alte, non è detto che l’appeasement raggiungerà velocemente tutti i suoi obiettivi, anzi è probabile che il riavvicinamento tra Iran e Stati Uniti proseguirà gradualmente (step by step) nel corso del 2015. È anche possibile che i primi che apparentemente beneficeranno della revoca delle sanzioni potranno essere proprio le aziende russe e cinesi che si troveranno il terreno già pronto ad una maggiore penetrazione commerciale, coltivato negli ultimi anni di “isolamento” iraniano. Tuttavia, a lungo termine, i vantaggi di un ritrovato feeling tra USA e Iran si faranno sentire: l’Iran può solo che guardare più a ovest, visto che da troppo tempo ha potuto guardare solo ad est.
• Fallimento appeasement USA e Iran e ritorno del militarismo: Se le forze che si oppongono ad un riavvicinamento tra USA e Iran (oltre che Israele e le monarchie del golfo, sono in molti a Washington a pensarla diversamente ed a remare contro un accordo) dovessero trionfare, accettando anche la destabilizzazione dell’intero medio oriente (dallo Yemen, al Libano) la visione globale di lungo termine non ne sarebbe in alcun modo scalfita. Gli USA proveranno altre strade per raggiungere il loro obiettivo: mettere le mani sulle riserve energetiche iraniane. Dall’ipotizzare un nuovo tentativo di regime change in Iran, fino ad un ritorno del “militarismo” magari sotto una nuova e diversa amministrazione, o facendo in modo che siano paesi terzi a fare il lavoro sporco per conto loro, o ancora e molto più probabilmente facendo agire, incrementandolo, il conflitto regionale in atto fino ad indebolire a tal punto gli attori in gioco da poter riprovare allora a concludere un accordo globale nella regione in condizioni di forza relativa più vantaggiose. Russia e Cina non staranno a guardare ma partono svantaggiate quando si tratta di legami affidabili e canali d’influenza in Medio Oriente.
• Iran e Turchia al centro della scacchiera: L’Iran, così come la Turchia, dovranno lottare più di tutti gli altri per mantenere un’indipendenza politica. Proveranno a sfruttare la propria posizione centrale nel grande gioco della lotta tra potenze (corteggiate o odiate da USA, Europa, Russia e Cina), o finiranno in rovina provandoci..
• Scenario Incubo – Terza guerra mondiale: L’eventuale clamoroso fallimento totale dell’appeasement, magari a causa di un’esplosione totale del conflitto tra Iran e monarchie del golfo, e il ritorno degli USA nella sfera di influenza israelo-sunnita, potrebbe portare gli Stati Uniti a ripensare al piano iniziale: la “presa” della Siria (oggi invece inglobata nell’appeasement in atto, come alleato dell’Iran), tornando a sfidare Russia, Cina e Iran impegnate nella difesa di Damasco. Tale decisione potrebbe forse riportare anche la Turchia a schierarsi dalla parte di Washington (da tempo Ankara condiziona il suo aiuto militare in Siria ad un piano per destituire Assad http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/siria/2014/10/06/isis-turchiatruppe-se-piano-usa-include-destituzione-assad_48eda7a9-5fb8-48af-8f43-c6f147519269.html), liberando così, in caso di successo, il terreno allo sviluppo del gasdotto Qatar-Arabia Saudita-Giordania-Siria-Turchia, anche eventualmente accettando di lasciare l’Iran impantanato nell’instabilità irachena per anni. Impegnare le forze cinesi in una crisi nel sud-est asiatico, più quelle russe in un’escalation nella crisi ucraina, potrebbero precedere lo sviluppo di questo piano che a questo punto si configurerebbe come una vera e propria terza guerra mondiale.
Appare ora molto più chiaro chi ha avuto e continua ad avere tutt’ora un interesse a sostenere forze appartenenti all’estremismo in Medio Oriente e in nord africa (come dicevamo all’inizio il terrorismo e il jihadismo sono solo i segni, i sintomi di qualcosa di molto più grande) e chi ha interesse affinché all’Europa s’imponga una definitiva scelta di campo, ancora una volta, tra Est ed Ovest. Così come possiamo intuire perché le pulsioni e le lotte tra i fornitori energetici OPEC e NON-OPEC, unite al rallentamento della domanda globale, figlio anche e soprattutto della depressione economica europea imposta dalla resa dei conti finali tra creditori e debitori nel vecchio continente, stanno causando lo sconvolgimento che vediamo nei prezzi del petrolio (sul quale con le dovute accortezze ed evidenziando maggiormente il ruolo strategico del controllo degli stretti marittimi, potremmo fare quasi lo stesso discorso fatto per il gas, essendo i fornitori del primo, quasi sempre gli stessi del secondo). Si tenga infine a mente l’importanza dei prezzi del petrolio e i ricavi dei paesi produttori da utilizzare per investire, anche e soprattutto nei progetti di cui abbiamo parlato (da qui l’importanza per i paesi consumatori di contribuire alla spesa per la costruzione delle infrastrutture e quindi il controllo delle stesse).

È evidente che i rischi di questa politica, intrapresa dall’amministrazione statunitense e dai suoi più stretti alleati, sono enormi, e alcuni conducono il mondo verso uno sconvolgimento oggi difficilmente immaginabile in tutti i suoi aspetti (come l’esplosione incontrollabile di violenza nel mondo musulmano, dove aspettative e calcoli razionali degli attori regionali rischiano invece di condurre verso l’irrazionale esito dell’implosione totale; o la totale escalation della crisi Ucraina con la Russia costretta ad intervenire direttamente nel conflitto). Fatto sta che questo è quello che sta avvenendo e scopriremo azioni e reazioni man mano, navigando a vista nel tempestoso mare della geopolitica di oggi.

Per quanto riguarda la conduzione della politica estera del nostro paese sarà necessario muoverci sì con cautela, posticipando il più possibile la netta scelta di campo (valutando la convenienza di volta in volta) ma senza escludere a priori l’utilizzo della forza militare per difendere i nostri più prossimi interessi e la nostra stabilità, messi a rischio dalle strategie degli attori regionali inquadrati nel contesto della grande battaglia energetiche per il controllo dell’eurasia. A cominciare dalla Libia, paese strategicamente fondamentale per l’Italia. Più siamo forti, più potremo resistere alle inevitabili pressioni esterne che aumenteranno progressivamente, man mano che il TANAP e il Turkish Stream si avvicineranno alla nostre coste.

Il gas, il petrolio e la battaglia per il controllo energetico non spiegano tutto della politica internazionale. Troppe sono le pulsioni e gli interessi politici di brevissimo respiro che possono modificare anche involontariamente la situazione sul campo, si pensi solo alla fretta, tutta politica, del ritiro progressivo delle forze USA in Iraq, deciso prima di concordare ed impostare una strategia di lungo respiro, infine dispiegata con colpevole ritardo dall’amministrazione Obama.

Ci sarebbe infatti da parlare di molte altre cose, come ad esempio il ruolo della Germania in Europa, che non è detto si rivelerà un alleato affidabile per gli USA, specialmente per via dei suoi rapporti energetici privilegiati con la Russia che condizioneranno fortemente il comportamento politico di Berlino con Mosca, a cominciare dalla crisi in europa dell’est. Così come é chiaro che i tedeschi hanno obiettivi diversi da quelli USA che quando si parla di politica economica europea sono interessati più ad una redistribuzione del reddito intra europea che alla miope tutela dei creditori, con l’obiettivo finale, quello di Washington, di dar modo agli stati periferici dell’eurozona di investire in spese militari. Quel keynesismo militare da saldare al TTIP forse anche contestualmente allo smantellamento ordinato dell’area euro (http://www.formiche.net/2014/11/14/euro-alla-frutta-ttip-alle-porte/)

Dovremmo poi certamente approfondire lo storico riavvicinamento di Russia e Cina, da inquadrare certamente come reazione imprevista all’offensiva occidentale in Ucraina, ma che cela dietro profonde divisioni e scarsa sincerità sugli obiettivi di lungo periodo tra Mosca e Pechino. Il tutto collegato alla crescente importanza delle “vie” energetiche marittime e terrestri che collegano il Medio Oriente all’Asia. Le nuove vie della seta come piace chiamarle e pensarle alla leadership cinese: tra i tanti esempi il nuovo gasdotto e oleodotto tra Birmania e Cina (al centro di tensioni nelle ultime settimane), pensato e realizzato per evitare alle forniture energetiche cinesi di passare obbligatoriamente per il vulnerabile stretto di Malacca; così come le contese isole nel sudest asiatico, fondamentali per il controllo e sfruttamento futuro dei giacimenti energetici marittimi; per finire con le vie terrestri pensate per il commercio e per il rapido spostamento di salariati e dirigenti multinazionali, destinate a destabilizzare e non poco i paesi delle steppe dell’Asia centrale (dove anche l’India, silenziosamente è pronta a dire la sua, ma solo dopo aver tentato di scacciare gli stranieri dall’oceano indiano, come abbiamo appreso con tristezza dalla vicenda dei nostri marò) e da lì ricollegarci all’importanza della stabile presenza militare USA in Afghanistan, troppo oggetto di giochi politici a cortissimo respiro. Ho infine sottovalutato volutamente, per il momento, l’analisi del sudamerica, un po’ perché nonostante i vari sforzi di Brasile e Argentina, inevitabilmente resterà per gli USA regione di facile penetrazione; un po’ perché le ripercussioni nella regione, comunque periferica, saranno principalmente di natura indiretta allo scontro globale in atto (Russia e Cina saranno portate a rafforzare militarmente e finanziariamente gli stati sudamericani in funzione anti-USA)