GeopoliticalCenter, Geopolitica, Strategia, Analisi Economiche

L’attacco economico alla Russia: mezzo per un “Regime Change”?

Cremlino crisi in Crimea

La Russia è oggetto di un fortissimo attacco, un attacco portato non con carri armati, bombardieri o missili, ma un attacco portato con gli strumenti della finanza globale e il controllo mondiale del commercio e delle valute.
Abbiamo assistito al crollo del prezzo del petrolio, al crollo della borsa di Mosca, alle sanzioni contro banche, personaggi e società russe, al conseguente crollo del rublo e al notevole aggravio per le aziende, ed i privati cittadini russi, che debbono acquistare merci e tecnologia al di fuori della Federazione, con la concreta prospettiva di una recessione economica nel 2015 nella Federazione Russa, il cui prodotto interno lordo era previsto fino a 9 mesi fa in crescita dell’1,5% per il prossimo anno, mentre le ultime stime annunciano un calo dello 0,8% del PIL russo.
Secondo il nostro gruppo queste manovre non sono funzionali solamente a mettere in difficoltà la nazione russa, ma sono un mezzo per screditare e successivamente scardinare il sistema di potere che vede nel presidente Vladimir Putin il fulcro principale. Secondo la nostra teoria le sanzioni mirano a ridurre le spese sociali della Federazione, ridurre il sostegno governativo alle famiglie, alla scuola e all’istruzione, ridurre il potere di acquisto dei russi e generare il nucleo dello scontento sociale che poi può sfociare nella protesta di piazza, spontanea o “incoraggiata” che sia.
Inoltre la riduzione delle entrate in valuta potrebbe incidere sulla capacità di Mosca di controllare la propria stessa periferia, remota ed eterogenea. Per capire quello che intendiamo occorre spendere qualche parola sulla prassi di governo russa, ed in particolare sugli strumenti da sempre utilizzati dal Cremlino per gestire lo spinoso problema delle nazionalità minoritarie. Sin dai tempi della rivoluzione d’ottobre, Mosca lega a sè le minoranze etniche rinconoscendo loro ampie autonomie amministrative, a cui gestione viene delegata a dirigenze locali leali che gestiscono nell’interesse proprio e della popolazione che rappresentano un generoso flusso di investimenti e finanziamenti stanziati dal governo centrale. Ovviamente questo sistema entra in crisi quando il flusso si riduce o addirittura si azzera, perchè la classe dirigente locale può facilmente revocare la propria lealtà al governo centrale trovandosi uno stato nazionale già “preparato” dalle stesse autorità russe. Questo meccanismo si rivelò letale per l’Unione Sovietica quando, nel 1986, il prezzo del petrolio scese sotto i 10 dollari al barile e i dirigenti di partito dei paesi del Patto di Varsavia prima e delle repubbliche federate poi, dimenticati dal governo centrale, si convertirono repentinamente al nazionalismo. Numerosi studiosi ritengono che anche allora gli Stati Uniti agirono sulla leva petrolifera per innescare una crisi sistematica nel grande rivale.
Una situazione per certi versi simile potrebbe ripetersi ora. E’ vero che oggi la Russia pare meno eterogenea ed in grado di controllare meglio le spinte secessioniste, e tuttavia il ridursi delle disponibilità economiche potrebbe risvegliare il demone sopito delle rivendicazioni nazionali. Peccato che la medesima situazione di riduzione della spesa sociale, riduzione del sostengo del governo alle famiglie, taglio alla scuola e alla sanità e la riduzione del potere di acquisto dei lavoratori si stia osservando anche nel nostro paese, nonostante l’Italia sia un “alleato” delle potenze globali che sono oggi in grado di dirigere la finanza ed il commercio mondiale.
Alleati di potenze globali che non hanno sorretto il premier italiano Berlusconi nel 2011. Anzi, in quegli anni la leva finanziaria, lo “spread”, il fantasma del Default sono stati utilizzati contro l’Italia e contro il primo ministro dell’epoca che forse si era allontanato troppo rispetto ai progetti di paesi che volevano e vogliono ridurre la nostra sovranità e non permettere all’Italia di decidere in relativa autonomia la nostra politica estera ed economica. E questo fatto emerge prepotentemente dalle dichiarazioni di Timoty Geithner ex segretario al tesoro Usa1.
L’aver perso la nostra sovranità monetaria, aver rinunciato alla nostra indipendenza politica e culturale, aver dimenticato, a volte con vergogna, la nostra storia e la nostra cultura in nome di una globalizzazione del pensiero e delle società, non ci ha risparmiato, seppur più dilazionato nel tempo, la guerra finanziaria che tocca oggi alla Federazione Russa. Nel caso dell’Italia la guerra finanziaria ebbe però successo e si ottenne il “Regime Change”, il governo Berlusconi (filorusso, vicino a Gheddafi e all’Egitto di Mubarak, ostile alla politica isolazionista e rivolta unicamente allo sviluppo dell’area pacifica dell’amministrazione Obama).
Dubitiamo invece che l’offensiva della finanza globale possa portare alla caduta di Vladimir Putin, mentre potrebbe rimuovere i residui freni inibitori del presidente russo, ed aumentare proporzionalmente le possibilità di azioni “di forza” della Federazione Russa nei vari scenari di conflitto presenti nelle aree della geopolitica più care al Cremlino.
Per quanto riguarda il nostro paese dobbiamo al più presto recuperare la sovranità a cui abbiamo rinunciato negli anni e ancora di più riprendere possesso di una identità culturale, linguistica, storica e di tradizioni ormai persa nell’oblio di un mondo globale. Solo l’identità di un popolo può garantire lo sviluppo della società, l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, la solidità dello stato sociale, e la crescita demografica.

1. (http://www.corriere.it/economia/14_maggio_13/geithner-nel-2011-trama-europea-far-cadere-berlusconi-9fae6c54-da81-11e3-87dc-12e8f7025c68.shtml)