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Quanti Pezzi per il Puzzle Ucraino? La Voce dei Lettori

Inauguriamo oggi una rubrica che ospita la voce dei nostri lettori. Il post che leggete oggi ci è stato inviato e firmato e noi lo pubblichiamo, comunque in forma anonima, secondo la volontà dell’autore

La grande maggioranza degli analisti insiste oggi nel sottolineare il rischio che l’Ucraina, oggetto del confronto fra occidente e Russia, finisca per frammentarsi in due tronconi: la parte sud orientale entrerebbe in questo scenario nell’orbita russa lasciando libera quella nord occidentale di stringere legami più solidi con l’Unione Europea. La mappa solitamente proposta è il riparto delle preferenze attribuite dagli oblast alle elezioni presidenziali del 2010 (e, in verità, a tutte le elezioni successive all’indipendenza):

Figura 1 Risultati delle Elezioni Presidenziali 2010: in rosso la maggioranza del Janukovich, in giallo per Timoshenko

La nettezza di questa separazione colpì anche Samuel Huntington, che sin dal 1997 avanzò l’ipotesi della futura divisione del paese, ipotesi oggi più che mai attuale.
Qui intendiamo avanzare una ipotesi diversa, ovvero che lo stato ucraino contenga non due, ma tre identità latenti: due maggiori moscovita e kievana ed una galiziana. Queste entità, di misura non uguale (la relativa importanza potrebbe essere espressa con la formula due quinti – due quinti – un quinto) potrebbero divaricarsi su di un orizzonte temporale medio lungo in caso di aggravamento della crisi in corso. Vogliamo illustrare le caratteristiche di queste tre ucraine con una ricognizione sommaria delle loro vicende storiche recenti.
La regione centrale: l’emergere dell’entità Cosacca (1650 – 1750) Le entità politiche succedute alla Rus di Kiev nel territorio dell’odierna Ucraina si trovarono sulla direttrice principale dell’invasione mongola (metà del tredicesimo secolo) che disarticolò in profondità le strutture politico-sociali della regione. Furono quindi realtà secondarie e periferiche al tempo della Grande Rus’, come la Moscovia e la Lituania, ad avvantaggiarsi del primo riflusso della potenza mongolo tartara, nel quattordicesimo secolo. E’ a causa dell’impatto devastante dell’invasione mongola che la regione ucraina cessò di essere un baricentro e divenne ciò che è ancora oggi, ovvero una frontiera. All’inizio del ‘500 il controllo della regione sembrava ancora una partita a due fra la Lituania (nel frattempo unitasi alla Polonia) e l’impero Ottomano (patrono dei Tartari di Crimea), ma verso la fine del secolo entrambe queste potenze mostrarono che la loro spinta espansiva era prossima all’esaurimento. Nel 1569 i Turchi abbandonarono il progetto di scavare il canale Don Volga per proiettare la loro potenza nel bacino del Volga e soccorrere i correligionari della regione, i cui Khanati erano stati abbattuti nel decennio precedente dal moscovita Ivan IV. Nel 1612 la nuova dinastia dei Romanov si installò al Cremlino, e la Polonia dovette rinunciare all’aspirazione di fare della Russia nascente un suo satellite. Pur rimanendo due forze formidabili, Turchia e Polonia allentarono la presa quel tanto da consentire la creazione di una entità politica autonoma nel basso bacino del Dnepr, quella dei Cosacchi Zaporoghi. Stabilire un collegamento diretto fra l’organizzazione cosacca e l’idea nazionale ucraina (di due secoli più recente) è operazione molto disinvolta sotto il profilo storiografico: ci limiteremo ad affermare il movimento cosacco crebbe sulle ceneri della antica Russia di Kiev, ove viveva la popolazione rurale “rutena” discendente dalla Rus’, in aree sino ad allora occupate da Polacchi e Tartari. L’entità cosacca con la dieta di Perejeslav del 1654 cercò la protezione della crescente potenza moscovita, ma questo rapporto di patronato si rivelò via via sempre più gravoso, fino a trasformarsi in una piena servitù nella seconda metà del settecento. E’ in ogni caso in questo secolo (1650 – 1750) che si consolidarono, sulla riva sinistra del Dnepr (la riva destra rimase ancora a lungo sotto il controllo polacco) alcuni tratti di quello che sarebbe diventato il carattere della cosiddetta Piccola Russia, quella regione centrale dell’Ucraina ove sorge Kiev su cui si fonda oggi una parte essenziale della identità nazionale:
Figura 2 Nella cartina a sinistra evidenziate in giallo le aree dove prevale il dialetto, del medio Dnepr. Nella cartina centrale evidenziate le aree in cui il partito Batkivshina ha ottenuto più del 30% alle parlamentari del 2012. Nella cartina a destra le aree di maggiore osservanza del Patriarcato di Kiev.

Nei secoli successivi quest’area fu esposta molto intensamente alla influenza russa, nel cui sistema imperiale risultò integrata, con brevi intervalli, fino al 1991. In seguito alle spartizioni della Polonia questo processo interessò anche alcune regioni poste ad ovest del Dnepr, ma non si estese mai alla Galizia (gli oblast occidentali dell’odierna Ucraina) che venne assorbita dall’Austria. Quindi le prime manifestazioni di sentimento nazionale, di fioritura culturale, di elaborazione linguistica, avvennero nell’ ambito dell’universo prima zarista e poi sovietico (che in diverse occasioni, ed entro certi limiti, provvide a promuoverle e consentì loro di esprimersi).
Le regioni meridionali: la fine del dominio Tartaro e la costruzione della Nuova Russia (1750 – 1850). Nel corso del diciottesimo secolo la presenza russa nella regione si fece sempre più invadente. Se nel 1697 i cosacchi erano stati essenziali nel sostenere l’attacco di Pietro il Grande contro la fortezza turca di Azov, già nel 1712, insofferenti dell’ingerenza russa, appoggiavano la sfortunata invasione di Carlo XII di Svezia, e, sconfitti gli svedesi, si alleavano al declinante khanato di Crimea. Questo tentativo di affrancarsi dalla tutela di Mosca era però destinato all’insuccesso, e già nel 1734 i Zaporoghi erano a tutti gli effetti ridotti al ruolo di unità ausiliarie dell’esercito russo. In questa veste svolsero un ruolo prezioso nella cruenta liquidazione del sistema di fortezze ottomane poste alle foci dei grandi fiumi (Dnepr, Danubio, Bug). Tuttavia quando nel 1774 la Sublime Porta dovette cedere i propri possedimenti a nord del Mar Nero (trattato di Kuchuk Kaynarca) Caterina la Grande decise di trasformare la regione costiera da un zona arretrata ed in preda all’anarchia in un territorio imperiale fondamentale sotto il profilo politico, economico e militare. In questa nuova situazione i cosacchi divenivano un fattore di disturbo, e non è un caso che della eliminazione del sich cosacco si occupò proprio il Principe Potemkin, l’architetto della Nuova Russia (1775). A sud dell’Ucraina continentale dei contadini ruteni e dei cosacchi Zaporoghi, già entrata nell’orbita Russa (ed estesa anche a vaste regioni sulla riva destra del Dnepr in seguito alle spartizioni dei territori polacchi compiute nel 1772, 1793 e 1795 da Russia, Austria e Prussia) prese quindi forma una nuova regione, dall’aspetto molto diverso, una sorta da far west russo di nuova colonizzazione, la Nuova Russia. Il Principe Potemkin coordinò i poderosi sforzi per la colonizzazione delle terre, che furono assegnate a militari russi come premio di congedo, ma anche ad immigrati greci, ebrei, armeni ed europei desiderosi di contribuire allo sviluppo della regione. Nella seconda metà del settecento furono fondate le città di Dnipropetrovsk, Kherson, Mariupol, Sebastopoli, Sinferopoli, Nikolaev e infine Odessa. Quest’ultima, fondata nel 1794, ricevette uno slancio particolare dal suo primo governatore, il duca di Richelieu, un nobile francese transfuga a causa delle rivoluzione, e nell’ottocento divenne la quarta città dell’impero russo dopo Mosca, Pietroburgo e Varsavia. Anche il resto della Nuova Russia sviluppò un profilo diverso da quello dell’entroterra: quello rurale, contadino e ucraino, questo urbano, industriale (manifatture tessili, industria estrattiva) e culturalmente russofono e cosmopolita. L’impetuosa espansione economica della fine dell’ottocento attirò a Kharkov e Odessa una ulteriore, forte immigrazione russa. Alcuni di questi tratti sono visibili ancora oggi: in Ucraina ci sono dieci città con oltre 500.000 abitanti e di queste almeno sette (cui potrebbe essere aggiunta Dnepropetrovsk, che si trova in una regione mista) si trovano nella zona della Nuova Russia, nonostante in queste regioni viva meno della metà della popolazione ucraina. Stesso discorso per i redditi che nel sud est sono mediamente superiori a quelli del resto del paese.
Figura 3 In verde, le regioni Ucraine con reddito medio superiore a 1500 dollari, in rosa quelle con reddito inferiore. Indicate le città maggiori di 500.000 abitanti.

Dal nostro esame emerge quindi un preciso profilo sociale, economico, culturale, religioso e politico di questa zone, evidenziato anche dalle seguenti mappe:
Figura 4 Nella cartina a sinistra evidenziate in rosso le aree dove prevalgono i dialetti “delle steppe” “slobozhan” il Russo e la parlata “surshyk”. Nella cartina centrale evidenziate le aree in cui il partito delle Regioni ha ottenuto più del 40% (rosso) o del 35% (arancio) alle parlamentari del 2012. Nella cartina a destra le aree di maggiore osservanza del Patriarcato di Mosca.

E’ un profilo che ci permette di identificare una seconda componente della società ucraina.
La regione occidentale: l’età del nazionalismo (dopo il 1850). Dopo la metà dell’ottocento gli imperi multinazionali dell’est entrarono in crisi, crisi che fu sottolineata dalle guerre di indipendenza italiana e tedesca (1860, 1867) e dalla guerra di Crimea (1856). Diverse regioni degli imperi orientali svilupparono identità nazionali interne, e, per quanto riguarda quella che ci interessa, polacchi ed ucraini entrarono in fibrillazione. Entrambi i popoli erano divisi fra impero russo ed austriaco, ed in particolare i polacchi erano massicciamente presenti nel territorio del Regno del Congresso (con capitale Varsavia, in unione personale con l’Impero Russo) e nella Galizia austriaca (con capoluogo Leopoli), mescolati, in quest’ultima regione, con una maggioranza rurale ucraina. Questa componente ucraina occidentale cattolica, integrata per secoli nel Regno di Polonia, poi unita all’Impero Austriaco, subì un processo di occidentalizzazione estremamente accentuato, mentre le popolazioni ucraine orientali e ortodosse, parte del sistema zarista sin dal seicento, sviluppavano caratteri di diversa natura.
Fu nella Galizia austriaca che si formarono le prime entità nazionaliste ucraine (società come Prosvita e Shevchenko) mentre Leopoli diventava un centro di attrazione per personalità della parte russa interessate allo sviluppo della coscienza nazionale, come Dragomanov. Nella seconda metà dell’ottocento le idee nazionali si diffusero anche nell’ucraina russa (spesso mescolate a tendenze socialiste) e tuttavia esse non raggiunsero un grado di maturazione paragonabile a quelle della Galizia austriaca, giungendo a prefigurare, al massimo, una forma di autonomia dal governo di Mosca. Invece nella Galizia orientale e nella Volinia il movimento di emancipazione divenne impetuoso, e sfociò, dopo la dissoluzione dell’impero austriaco e di quello russo, in una vera guerra con la parte polacca. I censimenti rivelavano, nella Galizia Orientale, una situazione esplosiva: maggioranza ucraina (nella misura del 60%) temperata da una maggioranza polacca nella capitale Leopoli.
Il 1918 vide il formarsi di tre entità ucraine: a Leopoli venne proclamata La Repubblica Popolare di Ucraina Occidentale a Kiev la Repubblica Popolare Ucraina, a Kharkov la Repubblica Socialista Ucraina. Mentre i due tronconi orientali vennero coinvolti nelle vicissitudini della guerra civile russa, quello occidentale si scontrò con le aspirazioni polacche: la nascente polonia e la nascente ucraina occidentale si confrontarono in una guerra (1918 – 1919) risoltasi a favore dei polacchi. La regione venne quindi assorbita nella Polonia, mentre il governo dell’Ucraina occidentale riparò esule a Londra. Il tutto con il consenso della Repubblica Popolare di Kiev, che ratificò la situazione creatasi con il Trattato di Varsavia (1920) al fine di ottenere il sostegno polacco contro l’Armata Rossa incalzante.
Ridotti alla soggezione polacca in seguito alla Pace di Riga, conclusa nel 1921 fra Polonia ed Unione Sovietica, gli ucraini di Galizia furono oggetto, negli anni ’30, di una politica di crescente persecuzione ed assimilazione da parte delle autorità di Varsavia, politica che suscitò odio e risentimento esplosi durante l’occupazione nazista (1941 – 1944). In questo oscuro periodo l’Esercito Insurrezionale Ucraino, con la complicità dei tedeschi, condusse una politica di deportazione forzata e di stermini di massa della popolazione polacca insediata in Galizia. In questo modo la presenza polacca nell’odierna ucraina venne violentemente annientata sino al fiume San. Peraltro, dopo la guerra, una parte di questa zona venne attribuita alla Polonia, che nel 1947 compì un’operazione militare di senso inverso, deportando la popolazione ucraina dei territori polacchi (vedi la zona evidenziata in verde nella cartina) e distribuendola nelle regioni occidentali già appartenute alla Germania (operazione Vistola): Slesia, Posnania, Prussia.
Figura 5 il confronto Ucraino – Polacco nel ‘900. In rosa e verde i territori che la Repubblica Popolare Ucraina riconobbe parte della Polonia nel 1920, successivamente oggetto (nel 1942 – 43) del massacro dei polacchi di Galizia e di Volinia. In verde i territori oggetto di pulizia etnica da parte del polacchi nel dopoguerra (operazione Vistola, 1947).

Nello stesso periodo la storia dell’Ucraina centrale prendeva una piega assai diversa. In queste regioni la resistenza all’ occupazione nazista assunse una portata paragonabile a quella delle altre aree dell’Unione Sovietica e la vittoria dell’armata rossa venne salutata con generale sollievo a suggello di una proficua convivenza nel dopoguerra. Invece, in Galizia e Volinia l’Esercito Insurrezionale Ucraino animò una resistenza armata alla occupazione sovietica estremamente virulenta, protrattasi per cinque anni dopo la fine della guerra, che venne repressa nel sangue, lasciando un risentimento indelebile negli animi degli ucraini occidentali.
Questa regione rappresenta quindi a tutti gli effetti una terza, più piccola, entità, all’interno della nazione ucraina odierna. Una identità occidentale, profondamente nazionalista, russofoba, cattolica, rurale. Una identità paradossalmente formatasi nel confronto cruento con il nazionalismo polacco ma che oggi, come risultato delle pulizie etniche del secolo scorso, si presenta come omogenea e senza serie dispute territoriali con la vicina Polonia, che anzi viene oggi considerata un modello ed un prezioso alleato.
Figura 6: Figura 5 Nella cartina a sinistra evidenziate in blu le aree dove prevale il nord orientale. Nella cartina centrale evidenziate le aree in cui il partito Svoboda ha ottenuto più del 30% (blu) o del 15% (azzurro) alle parlamentari del 2012. Nella cartina a destra le aree di maggiore osservanza della Chiesa Uniate d’Ucraina (cattolici).

La presenza di questa entità dai tratti inconfondibili è stata, dall’indipendenza del Paese, dissimulata a causa della scelta dei dirigenti dell’Ucraina centrale, di “polarizzare” l’identità della Nuova Ucraina facendo leva sulle regioni occidentali, quelle con la connotazione più definita. Si è così diffusa una visione dualista della identità del paese che rende giustizia solo parzialmente, a nostro avviso, alla realtà dei fatti.
In conclusione. Per quanto corrotto ed accusato largamente di malgoverno, il Presidente Janukovich è stato uno dei pochi politici Ucraini a cercare un compromesso fra le regioni centrali e quelle meridionali, ovvero le aree più popolose del Paese. L’esperienza della “rivoluzione arancione” ha infatti dimostrato che un sodalizio fra regioni occidentali (circa 8 milioni di abitanti) e di quelle centrali (circa 16 milioni) mirante ad escludere quelle meridionali (circa 16 milioni), un sindacato di maggioranza di tre quinti contro due quinti, non ha un peso specifico sufficiente a garantire stabilità al paese. Invece una sintesi politica culturale ed economica fra centro e sud, le cui popolazioni sono molto eterogenee e mischiate fra loro sotto il profilo linguistico avrebbe potuto preservare l’unità del paese (oltre tutto l’uso della parlata surshiyk, un misto di russo e ucraino nelle campagne centrali ed occidentali crea un sostrato linguistico ed identitario comune fra russi del sud ed ucraini).
Il fallimento di questa politica lascia sul tavolo grandi incertezze per il futuro. La nostra ipotesi è che, qualsiasi sbocco (violento o pacifico) dovesse prendere la crisi, una “esplosione” del paese produrrebbe una frattura anche ad ovest, oltre che a sud.
Se il processo di regionalizzazione fosse consentito da un riforma federale, è facile prevedere che le regioni meridionali si integrerebbero velocemente nella realtà eurasiatica, lasciando l’ucraina centrale e Kiev nella scomoda situazione di essere un lembo di territorio circondato da tre parti (nord, est, sud) dall’influenza Russa. Mantenere la barra verso la Nato e l’Unione Europea in una situazione simile sarebbe molto problematico anche per un governo ultra nazionalista. E’ possibile che, in questo scenario, si verifichi una divisione sul modello della Cecoslovacchia. La Galizia potrebbe avvicinarsi all’Europa che, rassicurata dalla taglia modesta della regione, non avrebbe problemi ad accelerare il processo di integrazione. Kiev, da parte sua, potrebbe assumere una posizione antirussa nei toni ma neutrale nei fatti, raggiungendo un discreto livello di integrazione economica con l’oriente.
Lo scenario militare non è molto diverso. Il distacco anche dei tre oblast orientali (Lugansk, Donetsk e Kharkov) potrebbe innescare una crisi nella parte rimanente del paese fra le regioni orientali, fautrici di una guerra ad oltranza ed un governo di Kiev più incline al compromesso con la Russia. Anche in questo caso la Galizia, vista delusa la propria aspirazione ad una più incisiva politica nazionale, potrebbe decidere di prendere le distanze da una Kiev troppo ortodossa, troppo compromessa con Mosca dal punto di vista economico e, in ultima analisi, troppo russa.