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Voce dei lettori: Il pensiero strategico russo

Cremlino Russia

Per la rubrica Voce dei Lettori ospitiamo oggi il post di un autore che pur firmandosi a noi preferisce restare anonimo sul sito, rispettiamo la sua scelta e pubblichiamo la sua idea

La Russia è un grande paese. Dispone di risorse naturali abbondanti e pregiate . Gas, petrolio e minerali di valore sono presenti all’interno del suo vasto territorio. Le potenzialità economiche sono enormi e sostanzialmente inespresse. Pur avendo un’economia solida e florida, secondo uno dei principali indicatori economici, il Prodotto Interno Lordo, la dimensione di tale economia è paragonabile a quella di un piccolo paese come l’Italia. In questo senso si potrebbe definire la Russia con una metafora sportiva: “ Un grande talento che deve trovare la strada per affermarsi”. Ma quale può essere questa strada? A partire dalla fine del XIX secolo, uno degli obbiettivi strategici principali russi fu l’assicurarsi dei collegamenti con i mari caldi per risolvere il principale problema geografico russo. Tale smisurato paese è isolato dal resto del mondo. Può sembrare un paradosso definire in questi termini un paese di circa 17 milioni di km quadrati, ma il nord è bloccato dal gelo e dai ghiacci, l’oriente è sbarrato dalle isole giapponesi e dagli insediamenti cinesi, il sud è delimitato da alte montagne e deserti ed infine l’occidente possiede la particolarità di esporre le linee di comunicazione all’influenza di altri stati. Per questo motivo la Russia ha sempre sentito il bisogno di espandersi e di assicurare le proprie linee di comunicazioni esterne. I tentativi di intervento in Afghanistan sul finire del XIX secolo, la guerra di Crimea, la guerra russo-giapponese e l’ossessione zarista per il Bosforo e i Dardanelli ne sono la testimonianza. Attualmente, se focalizziamo l’attenzione sui confini occidentali scopriamo che gli accessi al baltico sono ostacolati dalla penisola scandinava e da quelli che oggi chiamiamo i paesi baltici, Estonia, Lettonia e Lituania. Le comunicazioni terrestri sono dominate dall’esigenza di confrontarsi con paesi come la Polonia, la Russia bianca e l’Ucraina. L’accesso al mar nero è vincolato dall’esistenza del budello di Costantinopoli. l’impero zarista aveva “risolto” il problema inglobando i paesi citati e tentando a più riprese la conquista della seconda Roma. La rivoluzione d’ottobre fece crollare questo impero, creandone un altro che, temprato dalle sofferenze della grande guerra patriottica, riaffermò questi principi, instaurando la propria influenza sull’ Est Europa fino all’Elba. Il crollo di questo secondo impero, nel 1991, ha ridisegnato i confini, ma non ha modificato le esigenze strategiche, che si sono sempre scontrate con quelle degli stati vicini. Proprio per questo motivo la contrapposizione fra il mondo russo e quello che possiamo definire occidentale è sempre stata profonda. In questo senso è radicata la percezione comune, nella società russa , in quella europea e americana, la sensazione di trovare nell’altro un naturale nemico. Negli ultimi anni abbiamo assistito a uno sviluppo di relazioni politiche e commerciali fra l’Europa (intesa come la somma dei principali stati) e Mosca. Tali relazioni hanno edulcorato le incomprensioni e le diffidenze di cui sopra, ma non le hanno cancellate. Lo sviluppo economico russo ha tratto parecchio giovamento dal riavvicinamento europeo e il paese, uscito a pezzi dall’esperienza sovietica, ha saputo ricostituirsi come entità politica, economica e militare. Il pensiero strategico non è però mutato nei principi cardine. Al contrario, l’esistenza di un blocco europeo americano, forgiato da anni di alleanza, ha contribuito ad aumentare il senso di isolamento percepito dal popolo russo. A tal proposito sono da collocare i tentativi della creazione di un’unione euroasiatica in cui raccogliere paesi (est-europei e asiatici) che nel corso della storia fecero parte degli imperi russi, anche al fine di stringere alleanze pregiate con paesi emergenti quali la Cina.
La crisi ucraina contemporanea è collocabile in questo contesto. Quella che, per ragioni storiche, culturali e anche economiche è il giardino di casa non poteva non far parte di questo disegno politico. Tuttavia il pensiero strategico russo non ha considerato la volontà della maggioranza del popolo ucraino, provato dall’occupazione sovietica e da anni di dittatura più o meno mascherata. Il popolo ucraino ha scelto, tra mille peripezie, il mondo occidentale. La Russia non comprende questa scelta e nel quadro del pensiero strategico tratteggiato, non la può accettare. La naturale conseguenza non poteva che essere una guerra, più o meno dichiarata, che per sua stessa natura non può che essere nociva per entrambi i paesi. Non solo per l’Ucraina, che vede devastato una parte del suo territorio, vede morire i propri cittadini e subisce i disastri economici bellici, ma anche per la Russia , che subisce un isolamento internazionale, una serie di sanzioni che colpiscono, seppur non in modo mortale, la propria economia e corre il rischio di vedere coinvolte le proprie forze armate in una guerra anche più grande, senza poter escludere il coinvolgimento dello storico avversario occidentale, alle porte di casa. In particolare il corso degli eventi sembra delineare due opzioni per Mosca. La prima è accettare di vedere Kiev schierato fra i principali alleati americani e avere uno stato potenzialmente ostile a 400 km da Mosca. La seconda opzione è impedire tutto ciò con una guerra. Una guerra vera, di alto costo politico, economico e militare che rischia di essere estesa a tutto l’Est Europa. Il pensiero strategico tradizionale non può accettare la prima soluzione e non può che portare alla seconda. Ma è proprio tale pensiero che ha messo Mosca davanti a questa scelta difficile. E tale pensiero sembra essere in netto contrasto con la politica dell’utile. Quali vantaggi possono esserci nel rischiare una guerra su larga scala che porterebbe ad esacerbare profondamente l’isolamento che storicamente la Russia ha sempre combattuto? In questo senso la citata politica dell’utile suggerirebbe di mutare il pensiero strategico. Non più dunque l’ossessione di controllare i confini e le vie di comunicazione geografiche, ma, al contrario, sfruttare le potenzialità enormi del paese senza impiegare risorse per tentare un difficile controllo delle periferie. La storia insegna che controllare regioni ostili è una scelta, alla lunga, perdente (pensiamo alla Spagna per Napoleone, al Vietnam o l’Iraq per gli USA, allo stesso Afghanistan per l’URSS). Meglio impiegare le risorse per perseguire una grande crescita economica russa, che sarebbe probabile grazie alle potenzialità intrinseche. Sarebbe ancor più possibile nel momento in cui si abbandonasse un espansionismo latente per privilegiare la costruzione di un impero commerciale, in cui il resto del mondo, l’occidente in particolare, non venisse visto come una potenziale minaccia, bensì come una sicura opportunità.
Si tratterebbe di un cambiamento radicale ed epocale che per ovvi motivi dovrebbe vedere nella controparte una ricettività che oggi non esiste. L’Europa, intesa come Unione Europea, potrebbe anche accettare una Russia “aperta” come partner. Forse si tratta addirittura di un desiderio segreto. Ma gli Stati Uniti non possono che osteggiare questa politica. Il vecchio nemico non può e non deve diventare un alleato. La stessa politica dell’utile che dovrebbe consigliare un mutamento del pensiero russo potrebbe e dovrebbe consigliare un mutamento del pensiero americano. L’egemonia anglosassone non è un diritto divino e potrebbe essere minacciata in un futuro non lontano dalla smisurata crescita cinese e dalle potenzialità indiane. I vecchi duellanti avrebbero interessi non trascurabili nell’allearsi per fronteggiare un potenziale nuovo”nemico”. E’ certamente una soluzione difficile, poiché si basa sulla disponibilità di modificare la forma mentis di persone che per anni hanno agito nella direzione opposta. Una possibile alleanza del blocco occidentale con la Russia non potrebbe prescindere da un rapporto paritetico, che probabilmente non esisterebbe, sul lungo periodo, all’interno di un’associazione Cino-Russa. In questo senso si intravedono soprattutto vantaggi per entrambi le controparti.
Tale proposta politica richiederebbe anni di sforzi ed è probabilmente utopica, ma è forse la soluzione migliore per garantire una pace mondiale che oggi sembra una mera illusione in un mondo che sembra andare a fuoco a tutte le latitudini.