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Il futuro della Libia parlerà russo se l’Italia rimarrà immobile 

Libia

La Libia è il nostro cortile di casa, ma oggi è il contesto dove, più di ogni altro luogo, l’influenza italiana non determina più le principali scelte politiche. L’Italia ha sempre giocato in difesa nell’intricata partita della Libia post-Gheddafi. Roma, timorosa di essere un leader per la regione, ha scelto di seguire le politiche di Obama, destinate a favorire la nascita di governi tribali e islamisti, rinunciando invece a sostenere, addestrare e armare la parte laica del paese. Armare e supportare la parte più laica della Libia equivaleva infatti a sostenere l’Egitto di al Sisi, un governo malvoluto che, dal giorno stesso della controrivoluzione egiziana, Obama ha incasellato tra gli esecutivi da abbattere.

Ora le alleanze italiane in Libia vacillano. La città di Misurata e le sue tribù, sulle quali il governo Renzi ha scommesso tutto il nostro capitale politico in terra libica, non riescono a garantire la sicurezza a Tripoli e anche all’interno della stessa città di Misurata emergono sui social voci contrarie alla scelta di allearsi con gli italiani. In secondo luogo, la missione di “Medical Diplomacy” non ha raggiunto gli obiettivi principali che noi ci eravamo aspettati: il nostro gruppo tre anni fa aveva prodotto un editoriale nel quale si enunciava la possibile via per una stabilizzazione sotto un aspetto sia militare che civile. Nel nostro articolo, che potete trovare a questo link (…), si auspicava infatti un massiccio dispiegamento di forze militari e civili, quest’ultime caratterizzate da una forte presenza di medici, infermieri, istruttori, tecnici e ingegneri. Tali figure erano vitali per un progetto che potesse radicalmente cambiare le condizioni di vita dei civili in tutta la Libia, non solo di una sua minima parte.

La missione “Ippocrate” avrebbe dovuto ripristinare la piena funzionalità dell’ospedale di Misurata, non creare un piccolo presidio all’interno dell’aeroporto che, nonostante gli sforzi del nostro servizio di sanità militare, non ha cambiato la vita dei civili della città. Chi cercava un luogo dove partorire in sicurezza, dove operare rapidamente chi subiva un trauma o trattare con efficacia chi era vittima di un infarto non ha potuto invece esclamare: “per fortuna che abbiamo gli italiani al nostro fianco”. Questo non è successo e da qui bisogna ripartire per comprendere il fallimento dell’Italia in Libia.

Sì, il nostro intervento è stato un fallimento. Un fallimento certificato se le milizie fedeli al parlamento di Tobruch riceveranno nei prossimi mesi supporto concreto da Mosca. Se il generale al Haftar avrà a disposizione mezzi, armi e sostegno logistico da Mosca, una moltitudine di piccoli nuclei tribali e intere città correrà a Tobruch per cercare un’alleanza con il nuovo uomo forte della Libia, ora appoggiato da quel Vladimir Putin, la cui fama di deciso, irriducibile e concreto attore della politica internazionale, gli renderebbe molto più facile stringere alleanze e organizzare conferenze di pace impostate secondo il volere del Cremlino.

È difficile oggi indicare una nuova strategia per ristabilire l’influenza italiana in Libia. Il nostro gruppo sta cercando di tracciare un nuovo scenario ma rispetto a tre anni fa ora l’Italia è in grave ritardo sugli eventi e indicare una via incruenta per garantire l’interesse nazionale a Tripoli e nel resto della Libia è un compito molto arduo.