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Perché Obama non va alla Guerra in Libia (e lascerà andare avanti noi)

Obama ci “appoggia”, ci incoraggia, ci dice che siamo i migliori e che per questo in Libia (con gli scarponi sul terreno) ci dobbiamo andare noi italiani, noi a “comandare” una portentosa forza di 5000 uomini che nella vastità del territorio libico sarà un catalizzatore di odio e piombo. Sì questo saremo, un catalizzatore di odio e di piombo, perché non porteremo ai libici nessun miglioramento della loro qualità di vita, non miglioreremo la sanità, non eviteremo la morte per malattia dei loro figli, non garantiremo acqua potabile e elettricità alle città, bensì difenderemo un governo odiato dalla maggioranza dei libici e che da domani verrà odiato ancor ancora di più in quanto conta, per sopravvive, su quei militari stranieri che si interessano solo del petrolio e non dei civili.
Ma in questo nuovo Vietnam, anzi in questa nuova Somalia (visto che ce la ricordiamo tutti molto bene), gli scarponi americani non si sporcheranno ma rimarranno ben puliti sulle navi o nei centri di controllo dei droni, gli americani non metteranno piede in Libia perché per modificare la postura militare di Obama non serve, o non basta, un vertice a 5 in un castello tedesco, ma serve un Trigger Event, che non si è verificato.

Così l’Italia prepara i suoi paracadutisti della Folgore e del Tuscania per una missione che non possiede una strategia innovativa se paragonata a quanto fatto (e quanto sbagliato) negli ultimi anni della politica estera americana e italiana. E soprattutto non viene programmata e pianificata una via di uscita da una missione che potrebbe essere per l’Italia un pantano bagnato non dalla pioggia, ma dal sangue dei nostri soldati.  Troppe volte in passato abbiamo visto organizzare guerre e “missioni umanitarie” senza avere una exit strategy, senza quella via di uscita indispensabile per limitare al minimo indispensabile le perdite tra i nostri uomini e le sofferenze per i civili di turno. 

Per mesi il nostro gruppo ha invocato un intervento militare internazionale in Libia, iniziando nel 2013. Ma nessuno si mosse quando la situazione era ancora recuperabile, e nessuno si è mosso alla fine del 2015 quando si sarebbe potuto organizzare un intervento militare con una forte componente umanitaria. Per forte componente umanitaria intendiamo l’invio in Libia di migliaia di medici infermieri tecnici ingegneri in grado di sollevare il paese. Ma per fare ciò non è sufficiente mandare il Libia poche centinaia di uomini, della Folgore e del Tuscania a presidiare la capitale (a protezione di un governo non riconosciuto da tutti libici) e alcune installazioni petrolifere strategiche sia per libici che per gli occidentali. 

Ed ecco che gli Stati Uniti scelgono in maniera coerente con la loro dottrina recente di non impegnare truppe sul campo senza avere una strategia di uscita, al contrario spingono i loro alleati a procedere in un’avventura militare che non solo chiederà al nostro paese il sacrificio dei nostri uomini in Libia, ma ci identificherà come obiettivo privilegiato del terrorismo internazionale a casa nostra.  Si doveva andare in Libia ci si doveva andare due anni fa, ci si doveva andare con decine di migliaia di soldati e migliaia di operatori umanitari; non dobbiamo al contrario mettere gli scarponi sul terreno in Libia facendosi identificare come coloro quali difendono un governo da molti visto come succube dell’Occidente.

Va ricordato inoltre che in Libia si sta combattendo una guerra per procura tra varie potenze regionali, che in barba agli embarghi delle Nazioni Unite stanno rifornendo e riforniranno di armi, munizioni e tecnologia militari i loro alleati sul campo. 

In ultimo va ricordato che questo intervento non otterrà mai il via libera del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in quanto la Federazione Russa ha già ampiamente spiegato che non darà il suo voto favorevole ad un intervento che tuteli esclusivamente il governo di Serraj. 

Speriamo che il parlamento della Repubblica, al quale ci appelliamo, neghi l’autorizzazione all’impiego in  Libia delle nostre forze armate e allo stesso tempo neghi l’utilizzo delle basi, dello spazio aereo e marittimo italiano a chiunque voglia operare militarmente Libia. Il parlamento è chiamato a difendere l’interesse nazionale italiano, la vita dei nostri militari, ed evitare che in Libia si compia l’ennesimo bagno di sangue di civili inermi, che avranno solo la fuga come alternativa alla morte. 

Siamo e saremo sempre al fianco dei nostri militari, ma questa volta faremo tutto ciò che è nel nostro limitato potere per impedire che essi vadano a rischiare la vita, senza che esista una strategia a nostro avviso vincente.