Home Attualità L’Egitto di Al-Sisi: tra Libia e l’incognita Trump. Una panoramica generale sugli esteri.
L’Egitto di Al-Sisi: tra Libia e l’incognita Trump. Una panoramica generale sugli esteri.

L’Egitto di Al-Sisi: tra Libia e l’incognita Trump. Una panoramica generale sugli esteri.

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Ospitiamo oggi il secondo articolo sull’Egitto, scritto dal B. Habib

Nel 2013, come ben sappiamo, ci fu un colpo di stato che rovesciò l’allora governo presieduto dai Fratelli Musulmani. Dopo un periodo di transizione, con un governo ad interim, fu eletto presidente Al Sisi: ministro delle forze armate durante il governo Morsi e capo dei servizi segreti militari durante l’era Mubarak.
Da allora i rapporti dell’Egitto col mondo occidentale cambiarono, importante da menzionare è il deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, grande alleato sin dagli accordi di Camp David.
Ma che punto siamo ora in Egitto?

La situazione nello scacchiere internazionale vede l’Egitto coinvolto in più fronti “caldi” nel Mediterraneo, in primis quello libico dove l’Egitto ha interesse a mantenere una forte influenza diretta e indiretta sulla Cirenaica, principalmente per due motivi: evitare infiltrazioni terroristiche e il contrabbando di armi e migranti dalla Libia, ma motivo più importante è la vicinanza non solo geografica ma anche culturale, soprattutto ai tempi di Gheddafi dove i migranti economici egiziani erano ben presenti e ben radicati tanto che si si sarebbe potuto parlare di “colonizzazione”.
Per questi motivi l’Egitto sostiene militarmente ed economicamente (insieme a Emirati, Francia, velatamente il Regno Unito e ora pure la Russia) il governo non riconosciuto di Tobruk guidato dal generale Haftar, con l’obiettivo di riunificare la Libia sotto il suo comando, o al più tenerla separata ma mantenendo come detto prima, un’influenza forte sulla Cirenaica, andando però contro la soluzione ONU propugnata da USA e soprattutto Italia e che si sta dimostrando fallimentare, visti i ripetuti tentativi di defenestrare il governo Al-Sarraj da parte dell’ex primo ministro Al-Ghawil, apertamente ostile all’Italia ed USA.
In ogni caso è altamente improbabile un cambio di posizione da parte egiziana: un probabile futuro governo presieduto da Al-Ghawil rimarrebbe di stampo islamico, proprio ciò che l’Egitto vorrebbe evitare ed è il motivo per cui non sostiene Al-Sarraj.

Ma ora volgiamo lo sguardo più a Est con una premessa:
appena scoppiò il caos nel 2013 accorse l’Arabia Saudita, fu una delle prime ad andare in soccorso all’Egitto con ingenti finanziamenti a fondo perduto (e non) per stabilizzare l’area ed evitare così una nuova ascesa della fratellanza, a cui i Saud sono avversi.
Da allora l’economia egiziana, fortemente debilitata, vive del sostegno energetico e finanziario saudita, sostegno che a Ottobre 2016 è venuto a mancare principalmente per due cause:
1) il voto favorevole alla risoluzione russa sulla Siria e quindi l’invio di consiglieri e personale militare a Damasco;
2) il ritiro dalla campagna yemenita, nonostante nell’ultimo periodo si fosse ridotto a un semplice appoggio formale alla coalizione araba.
In tutto questo è difficile non notare uno spostamento delle alleanze con un Egitto che sta virando sempre più verso l’asse Iran-Russia, in particolare la Russia, con cui ha stretto un accordo per una centrale nucleare, un porto in affitto entro il 2019, si presume a Sidi Barrani e 46 MiG-29, cercando così di sostituire gli USA come fornitori di armamenti e aiuti e con cui, come accennato prima, i rapporti si sono raffreddati drasticamente dopo la deposizione di Morsi, appoggiato apertamente dall’amministrazione Obama.
Con Trump non è semplice far previsioni, nessuno sa esattamente quale sarà la sua posizione con l’Egitto (come del resto dopotutto), nonostante in campagna elettorale si è sentito parlare spesso di lodi da parte repubblicane verso Al Sisi e il suo operato contro l’IS e il terrorismo, ma si sa, un conto è fare campagna elettorale, un altro è stare alla Casa Bianca: sicuramente per l’Egitto sarà un’occasione per poter riavvicinarsi e assumere un ruolo da pacificatore (insieme a Israele e Giappone) tra USA e Russia.

Bassam Habib

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