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L’Immigrazione un’Arma della Guerra Ibrida

L’Immigrazione un’Arma della Guerra Ibrida

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Migliaia di persone che si accalcano ai confini dell’Unione Europea, giovani uomini, donne, bambini di ogni età. Provengono dall’Africa, dalla Siria, dal Kurdistan, dall’Afghanistan, dal Kashmir, da Ceylon. Si materializzano nei posti posti più disparati: la Turchia, la Libia, la Bielorussia, luoghi dove gli immigrati si recano di loro spontanea volontà, sapendo o avendo la fondata speranza che da quei luoghi potranno raggiungere la loro meta definitiva all’interno dell’Unione Europea. Una volta giunti nei paesi al confine con l’Unione Europea gli immigrati diventano funzionali agli scopi di chi, a vario titolo, esercita il potere in quelle nazioni. 

In questi giorni stiamo seguendo con attenzione i fatti che accadono al confine terrestre tra Polonia e Bielorussia. Circa quattromila persone si sono palesate lungo i reticolati di confine e hanno cercato di entrare illegalmente in Polonia. Il governo polacco ha reagito con estrema fermezza, mobilitando non solo la polizia e le Guardie di Frontiera, ma richiamando in servizio elementi della riserva militare, in particolare unità di fanteria leggera (jager) della milizia territoriale. Il dispiegamento delle forze armate polacche ha raggiunto le quindicimila unità, tutte impiegate a ridosso della linea di confine. 

Tutta “l’Europa che conta”, quindi Germania e Francia, hanno espresso solidarietà al governo polacco, il ministro degli interni tedesco Seehofer si è spinto anche oltre. Dal sud Europa un silenzio tanto atteso quanto sintomatico della pochezza politica di Italia, Grecia e Spagna in seno all’Unione. 

È evidente che al confine tra Unione Europea e Bielorussia, non si sta giocando solo la partita dell’immigrazione illegale verso ovest, ma stiamo assistendo ad un vero e proprio conflitto, basato su elementi psicologici e obiettivi che trascendono la presenza di alcune decine di migliaia di persone sul territorio di questa o quella nazione. In questa occasione si parla di sovranità, del concetto stesso di stato, concepito come una entità definita con leggi proprie, ordinamento proprio e confini definiti ed inviolabili, tutto quello che in questi anni è stato negato nel Mediterraneo, per interesse o miopia “dell’Europa che conta”, non ci interessa. Ora la Bielorussia sta pensando ed agendo come la Turchia o come la Libia, ma con uno scopo ulteriore: lacerare l’Unione Europea, avendo piena coscienza  che i polacchi, così come i lituani o gli estoni, non permetteranno per storia, eventi politici passati e per principio che i vecchi oppressori orientali dettino l’agenda relativa alla loro sovranità, costi quel che costi, attivazione della NATO inclusa. È per questo motivo che quello che osserviamo al confine tra Polonia e Bielorussia è un conflitto, anche se non ancora una guerra, e gli immigrati sono i proxy di questo conflitto. La seconda differenza è che Lukashenko e Mosca non desiderano una “tangente” pagata contanti, come invece è accaduto in passato con altri stati che usavano e usano i migranti come arma di ricatto. Minsk e Mosca sanno perfettamente che comunque andrà a finire per la nuova unione di stati (Russia e Bielorussia) sarà comunque un successo. Se la Polonia si piegherà e farà passare gli immigrati (una scelta che sarebbe pragmatica e di scarso impatto pratico, visto l’imminente arrivo dell’inverno e gli esigui numeri in gioco), l’opposizione interna attaccherà duramente il governo che a sua volta identificherà nel mancato supporto europeo la causa del loro cedimento,  innescando una reazione potenzialmente devastante alle riunioni dei prossimi consigli europei. Se la Polonia non si dovesse piegare, Varsavia dovrà impiegare per settimane le proprie forze militari nel contrasto dell’immigrazione, aumentando le interazioni con le forze bielorusse, anche e soprattutto durante i tentativi di respingimento attivo presso i confini o di espulsione coatta degli immigrati illegali. Sì, parliamo di immigrati illegali e non di profughi perché Varsavia non ha alcuna intenzione di identificare chi entra illegalmente nel paese, così come non ha alcuna intenzione di avvalersi del “supporto” di Frontex (offerto da Bruxelles rifiutato da Varsavia). Identificazione e supporto di Frontex equivalgono a prendere coscienza che queste persone per la legge europea in moltissimi casi non sono immigrati irregolari ma profughi di guerra che non possono essere respinti. Ecco che, cari amici e lettori, potete facilmente capire chi ha vinto e chi ha perso in questo conflitto ibrido giocato sulla pelle delle persone che aspettano al gelo nei boschi di confine. 

Esiste tuttavia un rischio non detto ma presente in questa situazione di conflitto e cioè la possibilità che le truppe schierate, stanche dopo giorni di pattuglia e attesa, nervose dovendo “combattere” con dei disperati, con donne e con bambini, possano alla prima occasione interagire in maniera “non standard” con le forze armate bielorusse e innescare incidenti di frontiera durante i respingimenti fisici o i rimpatri coatti di cui vi abbiamo già parlato.  La spirale militare in una situazione simile potrebbe vedere altri attori entrare in campo per ragioni di opportunità politica, oppure per cercare di chiudere alcuni conti aperti da anni in Ucraina orientale.

Quello che osserviamo ai confini polacchi non sono gli sbarchi sulle coste siciliane (che andrebbero comunque impediti in maniera intelligente e senza procurare danno a chi cerca di emigrare dall’Africa), non sono gli assalti a Ceuta di migliaia di immigrati economici nordafricani. Nei boschi della Bielorussia si gioca una partita che mira ad obiettivi strategici maggiori, non dimenticatelo nei prossimi giorni.