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COVID-19: come ripartire sapendo che il virus tornerà

COVID-19: come ripartire sapendo che il virus tornerà

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Dobbiamo essere chiari: la vita umana è il valore più importante da preservare sempre ed in qualsiasi condizione. Dobbiamo essere ugualmente chiari: un ritardo nella ripresa economica del nostro paese potrebbe mettere in pericolo vite umane, così come sta facendo l’epidemia. Dobbiamo essere cristallini: se la riapertura avverrà nella maniera errata oppure sarà gestita nei prossimi mesi, e ripetiamo MESI, in maniera dilettantesca o all’inseguimento dei privilegi di questa o quella lobby cadremo nuovamente nel baratro.
Perché questo nostro incipit? Perché questo virus non scomparirà nè dell’Italia né dal mondo, non scomparirà fino a quando non verrà trovato un vaccino efficace, oppure fino a quando la quasi totalità della popolazione del mondo non si sarà immunizzata tramite un’infezione. Alla luce di questa tanto semplice quanto drammatica definizione bisogna quindi pensare ed organizzare una ripresa delle attività economiche e sociali dell’Italia, dell’Europa e del mondo intero.

Per comprendere cosa fare e come farlo e, per capire come agire per contenere i danni che Coronavirus causerà nei prossimi mesi, dobbiamo analizzare in maniera completa quanto accaduto fino ad oggi. Due sono i dati principali da ricordare. Il primo è la colpevole sottovalutazione che i decisori hanno messo in atto nei confronti della pandemia. La prima organizzazione che ha delle colpe in questa nostra odierna situazione è certamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità e, la quale ha mancato il suo obiettivo e compito primario: avvisare il mondo della pandemia in arrivo e far sì che i governi avessero oltre che il tempo l’obbligo, di organizzare i sistemi sanitari e la produzione dei dispositivi di protezione individuale. Al contrario l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato la pandemia quando ormai era troppo tardi. La seconda responsabilità va scritta ai governi locali che hanno emanato direttive e linee guida che non hanno permesso l’intercettazione precoce dei casi di Coronavirus, mentre la popolazione veniva informata che sarebbe bastato lavarsi le mani e passare qualche giornata con un lieve raffreddore per superare questa emergenza. La terza criticità è invece rappresentata, usiamo il presente perché è un problema a tutt’oggi presente, dalla carenza di capacità diagnostica. Il nostro paese infatti non è in grado di offrire una diagnosi di certezza a chi è affetto, oppure ha il sospetto di essere affetto, dal nuovo Coronavirus. Migliaia di persone non hanno potuto effettuare il tampone di conferma e quindi di conseguenza non hanno potuto sapere esattamente come comportarsi e nemmeno che tipo di terapia intraprendere per evitare sia la trasmissione della malattia sia conseguenze negative sulla propria salute. Il quarto problema risiede sempre nell’ambito della sanità pubblica (intesa come il Dipartimento di igiene e sanità pubblica), che non ha avuto la forza e i mezzi per mettere in atto l’identificazione, il tracciamento e l’isolamento dei pazienti affetti da Coronavirus, è necessaria una organizzazione precisa, una catena di comando chiara, e l’eliminazione del concetto di “sovradiagnosi”, che ha portato a quell’atteggiamento di sottovalutazione oggi ben noto a tutti. Non di secondaria importanza la considerazione che i casi reali nel nostro paese sono probabilmente di otto 10 volte superiori a quelli in realtà riportati dalle tabelle governative, non riusciamo invece a dare una entità al numero di morti reali derivate dal Coronavirus, in questo caso ci verrà in aiuto solamente la statistica tra alcune settimane.

Come procedere quindi alla ripresa delle attività economiche e sociali di questo paese? Per prima cosa bisogna individuare un indicatore che ci permetta di dire che è giunto il momento di riprendere a lavorare e uscire nuovamente di casa. Quale può essere questo indicatore? A nostro avviso l’indicatore migliore sarà il numero di pazienti che afferiscono in una giornata alle terapie intensive. E per noi è ragionevole pensare che le persone più gravi comunque cercheranno di rivolgersi all’ospedale e quindi riceveranno le migliori terapie possibili, ecco perché utilizzare gli accessi alle terapie intensive può essere un ottimo indicatore per valutare quando il numero dei nuovi casi di Coronavirus è ormai ridotto ad un numero relativamente accettabile. Per stabilire quale sia questo numero serve un’analisi statistica che ci permetta di assumere un valore accettabile sia per il mantenimento della salute pubblica sia per evitare il collasso completo ed irrecuperabile dei sistemi economici. Una volta raggiunto questo valore la nostra visione prevede una riapertura globale di tutte le attività economiche e a industriali e non di tipo voluttuario. In poche parole l’apertura di tutti i negozi, delle fabbriche, dell’industria e del commercio, con una limitazione nella prima fase riguardante il mondo dello sport e di tutte quelle attività dove potrebbe registrarsi un assembramento importante di individui come stadi, palazzetti dello sport, feste popolari o sagre patronali.
Ma come è possibile aprire le industrie le fabbriche, i negozi e allo stesso tempo contenere il Coronavirus? La nostra visione prevede l’identificazione, il tracciamento e l’isolamento dei nuovi soggetti malati e l’identificazione dei soggetti già immuni. Per identificare i soggetti già immunizzati è necessario utilizzare un sistema di tipo quantitativo (una metodica di laboratorio complessa altamente affidabile), oppure un sistema di tipo qualitativo (i famosi test rapidi) che necessitano tuttavia di una sperimentazione e una validazione che abbia il massimo grado di certezza possibile. Come già abbiamo enunciato in un nostro editoriale del 12 marzo scorso le persone immunizzate dovrebbero godere di massima libertà nell’accedere ai vari luoghi pubblici e ai luoghi di lavoro. Ma ad oggi il numero degli infetti è una porzione estremamente ridotta della nostra popolazione, bisogna quindi prendere in considerazione atti concreti che possono permetterci di individuare gli infetti isolarli curarli e di impedire che possano diffondere il contagio. A tal fine pensiamo ad un sistema di controllo sia in entrata che in uscita dei luoghi di lavoro con la misurazione della temperatura corporea. Una verifica quindi contestuale alla timbratura del cartellino che deve essere seguita nel caso si riscontri anche un lieve aumento della temperatura corporea (37,2 °C dovrebbe essere il limite oltre il quale scatterebbero ulteriore misura) Il soggetto in questione andrebbe immediatamente sottoposto a tampone per il nuovo Coronavirus, tampone che deve essere disponibile per tutti e i cui dati devono essere pronti entro 24 ore. In questo periodo di attesa il soggetto sospetto di essere infetto dal nuovo Coronavirus dovrà essere isolato presso il proprio domicilio. Se il tampone desse esito positivo il soggetto andrebbe ospitato in una idonea struttura alberghiero-sanitaria per il tempo della malattia, limitando quindi la possibilità che possa infettare altri componenti della famiglia. Stessa modalità di rilevamento temperatura e conseguente identificazione immediata dei casi sospetti andrebbe messa in atto nei grandi nodi del trasporto pubblico, stazioni, aeroporti, grandi Hub delle metropolitane o del trasporto di superficie. Trovare i sintomatici ed isolarli in maniera tempestiva e rapida impedirebbe la comparsa di una nuova ondata epidemica.
Nel caso in cui invece dovessero tornare a crescere in maniera significativa i contagi che portassero conseguentemente ad un aumento dei ricoveri in terapia intensiva bisogna immaginare anche in questo caso un numero, una soglia della capacità ospedaliera, che inneschi automaticamente una procedura di chiusura completa di intere aree del paese, parliamo di aree e macro-aree e non di comuni o di province perché è evidente che questa malattia si diffonde in maniera rapida sul nostro territorio in condizioni di normalità, sarebbe quindi inutile chiudere solo un comune o parte di una provincia ma vanno individuate 4/5 macro-aree nella penisola che andrebbero chiuse nel caso in cui tornassero a crescere in maniera significativa i ricoveri nelle terapie intensive.

Un altro punto cruciale della nostra strategia consiste nel prevedere un vaccinazione antinfluenzale a tappeto per la stagione influenzale 2020, ricordiamo che ogni anno assistiamo a circa 6 milioni di casi di influenza in Italia e che ridurre questa pletora di pazienti a poche centinaia di migliaia di casi alleggerirebbe in maniera importante un sistema sanitario che potrebbe essere chiamato, durante l’inverno 2020-2021, ad affrontare nuove ondate epidemiche da COVID-19.
In questo nostro scenario le mascherine di protezione collettiva, ci piace chiamarle così in quanto non proteggono il soggetto che le indossa ma proteggono la collettività, devono divenire un oggetto di uso comune in questo periodo nel quale il virus continuerà comunque a circolare in Italia, questo perché purtroppo circa il 25% dei soggetti affetti da Coronavirus non manifestano sintomi evidenti, così come non presenteranno un aumento della temperatura corporea, la mascherina eviterebbe quindi una diffusione di goccioline nell’ambiente che potrebbero portare a un aumento del tasso di infettività della malattia. Le cosiddette misure di distanziamento sociale andrebbero mantenute con diversi livelli a seconda del tasso di circolazione del virus. Pensiamo in particolare a quelle attività nelle quali la convivialità è un elemento centrale, ci riferiamo ai ristoranti, agli hotel e a tutte le strutture turistiche dove le persone convivono spesso stretto contatto. Nel caso quest’estate ci trovassimo dinnanzi ad una bassa circolazione virale si potrebbe pensare ad una apertura ben organizzata di ristoranti ed alberghi, questo mettendo in atto procedure specifiche che limitino la diffusione del virus involontaria tra addetto e commensali di un ristorante. Un’idea molto concreta consiste nel dedicare parte del personale a servire a tavola i piatti preparati dalla cucina mentre un altro contingente del personale di sala sarà dedicato esclusivamente a riportare tutte le stoviglie dei tavoli e le pietanze non consumate dagli avventori in un’area dedicata dove può avvenire la sanificazione delle stoviglie stesse, questo per evitare contaminazioni involontarie ad opera del personale di sala. Ecco abbiamo fatto un esempio molto concreto di una misura di mitigazione della diffusione virale in un ambito di comunità, potremmo fare un esempio di questo tipo per ogni ambito O settore della nostra vita quotidiana, ci siamo limitati ai ristoranti in quanto riteniamo saranno tra le attività maggiormente colpite insieme allo sport e a tutto il settore turistico.

Questo nostro articolo vuole essere quindi un monito per coloro i quali pensano di poter riaprire il paese come se nulla fosse domani mattina e anche uno spunto di speranza per chi comunque ritiene doveroso riprendere in maniera attenta e ben pianificata la vita economica e sociale dell’Italia.

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Comment(1)

  1. Ho sentito dire che i coronavirus non dànno immunità. E poi mutano. Se stanno così le cose, il vaccino è inutile.

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