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Il sistema elettrico nazionale – La produzione di energia elettrica

Il sistema elettrico nazionale – La produzione di energia elettrica

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Da qualche settimana volevamo proporvi uno speciale sulle fonti energetiche, il Web è ricco di informazioni e abbiamo scovato un blog che ha pubblicato uno speciale in quattro parti sull’energia. Con l’autorizzazione del suo editore vi proponiamo due di questi post. Ecco il primo. Il blog in questione è Climatemonitor, che ringraziamo per la disponibilità.

Quando si pensa all’energia elettrica, di solito, si immagina la classica lampadina; non a caso, quando manca, è d’uso comune la frase: restare al buio. L’energia elettrica però nelle nostre vite ha un ruolo ben più importante della semplice illuminazione. A partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, quando le invenzioni che sfruttavano l’elettricità conobbero un notevole incremento nel numero ed una sempre maggior diffusione nei processi tecnologici, la nostra civiltà è andata incontro ad un processo di “elettrificazione” sempre crescente. La “penetrazione elettrica” è oggi talmente elevata che risulta impossibile anche solo immaginare di fare a meno dell’elettricità. Basti pensare, oltre alla già citata illuminazione, al funzionamento di motori, frigoriferi, stufe, condizionatori, pompe; oppure ai  treni, alle industrie, agli ospedali, alla catena del freddo ed alle reti di telecomunicazioni. Senza corrente, mancherebbe tutto nelle nostre case: la luce, l’acqua, i cibi freschi, qualsiasi elettrodomestico, l’ascensore, etc. Secondo alcuni studi, se l’energia elettrica non fosse più disponibile l’umanità andrebbe incontro a catastrofi immani nel giro di un paio di settimane appena! L’energia elettrica, insomma, è fondamentale per le nostre vite; e lo è ancor più nei Paesi più tecnologici ed industrializzati, come quelli europei.

Il “sistema elettrico nazionale” è costituito dalla produzione, dalla trasmissione a lunga distanza, dalla distribuzione alle utenze e dai consumatori finali. Tra il 1962 ed il 1999 tutte queste attività erano gestite dallo Stato, tramite l’Enel. Con il decreto 79/99 (decreto Bersani) l’attività di produzione e vendita di energia elettrica sono state liberalizzate. Le uniche attività rimaste in capo allo Stato sono state la trasmissione e la distribuzione; la prima è stata affidata in concessione alla società Terna, proprietaria della RTN (rete di trasmissione nazionale), la seconda è stata affidata in concessione ai cosiddetti “distributori”. Nel 2004 è stato istituito il “mercato dell’energia”, ovvero quel complesso di regole che consentono ai venditori ed agli acquirenti di effettuare le loro transazioni, anche sulla “borsa elettrica”. Inizialmente potevano partecipare al mercato dell’energia solo i cosiddetti “clienti idonei” (consumatori oltre i 2000 MWh annui), mentre i restanti, tra cui i domestici, erano ancora in regime amministrato. Nel 2007 però la possibilità di scegliere il proprio fornitore di energia elettrica è stata estesa a tutti; così negli ultimi anni, un po’ come accaduto nelle telecomunicazioni, sono nate molte società di vendita di energia e ogni cliente può scegliere tra differenti offerte in base alle proprie esigenze.

La Produzione di energia elettrica*

L’energia elettrica non esiste in natura, fatta eccezione per l’energia elettrostatica difficilmente sfruttabile. E’ dunque necessario convertire altre forme di energia (chimica, meccanica, eolica, solare, nucleare, etc.) in energia elettrica, con parametri ben definiti (potenza, tensione, corrente, frequenza, etc.) per la trasmissione in sicurezza ed economia e per lo sfruttamento da parte degli apparecchi utilizzatori.

Fig_1Tra le varie tecnologie di produzione di energia elettrica, la prima ad incontrare grande successo fu l’idroelettrica. Per tutta la prima metà del secolo scorso fu proprio questa la tecnologia con la quale si produceva la quasi totalità dell’energia necessaria, all’epoca evidentemente molto poca rispetto ad oggi. In Italia, paese all’avanguardia in questo settore, tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento furono realizzate imponenti opere (dighe, condotte, gallerie, etc.), in particolare sulle Alpi, grazie alle quali per molti decenni si è potuto far fronte ai consumi elettrici di un’economia in costante crescita. Nel 1950, a fronte di una richiesta di energia elettrica di circa 21.500 GWh, la produzione idroelettrica ammontava ad oltre 21.000 GWh mentre la termoelettrica si fermava a qualche centinaia di GWh.

Ben presto però l’energia idroelettrica, il cui sfruttamento aveva raggiunto il massimo, non fu più sufficiente e iniziò l’esplosione del termoelettrico, ovvero la generazione di energia elettrica dalla combustione degli idrocarburi. La crescita esponenziale dei consumi elettrici fece si che già dal 1967 la produzione termoelettrica superò quella idroelettrica; i combustibili fossili divennero così la fonte primaria di energia elettrica in Italia. Fig_2Oltre al termoelettrico però ci fu un’altra tecnologia che si sviluppò, specie nel nostro Paese: l’energia nucleare. Il vantaggio di questa forma di energia era la relativa economicità di esercizio e l’assenza di emissioni inquinanti in atmosfera, di contro necessitava di elevatissimi standard di sicurezza e presentava diverse complessità del trattamento dei rifiuti. Nel 1970 il mix di generazione elettrica italiano era costituito dalle seguenti quote: termoelettrico 57%, idroelettrico 33%, importazioni 5%, nucleare 3%, geotermoelettrico 2 %.

Negli ultimi decenni del secolo scorso fu sempre maggiore l’attenzione rivolta alle tematiche ambientali, di conseguenza la produzione di energia elettrica da tecnologia termoelettrica e nucleare si è spesso trovata al centro di dibattiti in relazione alle sostanze inquinanti emesse per produrla. Inizialmente l’interesse era rivolto all’inquinamento propriamente detto, ovvero quello dell’aria, delle acque e dei terreni, nonché alla tematica della sicurezza nucleare e del trattamento dei rifiuti. La necessità di fare fronte a questo tipo di problematiche ha favorito un notevole impulso alla ricerca, che nel giro di qualche decennio ha prodotto dispositivi di captazione degli inquinanti dai fumi grazie ai quali è stato possibile contenere notevolmente le emissioni nocive (NOx, SOx, polveri, altri componenti minori); anche sul fronte nucleare ci fu un grande sviluppo di tecnologie per la sicurezza ed il trattamento delle scorie, tuttavia il disastro di Chernobyl del 1986 prima, e lo tsunami giapponese del 2011 poi, hanno frenato notevolmente l’utilizzo di tale tecnologia ed alcuni Paesi (come l’Italia) hanno scelto di non dotarsene più in futuro.

Fig_3Le tematiche ambientali però, oltre a favorire lo sviluppo di migliorie nelle tecnologie tradizionali, hanno anche indirizzato l’attenzione verso le nuove energie rinnovabili, cosicché al “vecchio” idroelettrico (la prima “fonte rinnovabile”) si sono affiancate le tecnologie del solare fotovoltaico e dell’eolico. Queste ultime però hanno inizialmente incontrato grandi problematiche di diffusione per via dell’impossibilità di programmare, e la notevole difficoltà di prevedere, la produzione di energia, con l’aggravante degli elevati costi delle apparecchiature; fino agli anni novanta, insomma, non è stato dato molto impulso a queste forme di energia, anche in considerazione del fatto che, come detto, le tecnologie termoelettriche avevano nel frattempo migliorato notevolmente il loro impatto ambientale. Nel 1990 il mix di generazione nazionale era ancora totalmente costituito da fonti tradizionali: termoelettrico 73%, idroelettrico 12%, geotermoelettrico 1%, importazioni 14%.

A far risalire notevolmente l’interesse verso le energie “verdi” fu però un altro aspetto, divenuto nel giro di pochi anni l’elemento centrale dei dibattiti ambientali a livello mondiale: il tema dei cambiamenti climatici. Come è noto, su impulso di una parte (non tutta) della comunità scientifica e sotto il coordinamento dell’ente intergovernativo IPCC, i governi di gran parte dei paesi del mondo hanno stabilito che le emissioni antropiche di “gas serra”, su tutte la CO2, sono responsabili dei mutamenti del clima, in particolare del processo di riscaldamento planetario della seconda metà del secolo scorso. Gli scenari preoccupanti descritti dall’IPCC hanno indirizzato i governi a stipulare accordi come il “protocollo di Kyoto”, ratificato da oltre 180 Paesi nel 1997, con il quale sono stati assunti impegni ben definiti di riduzione delle emissioni dei gas serra, in particolare della CO2. L’Europa è stata, su questo fronte, anche più severa, approvando nel 2009 il cosiddetto “pacchetto 20-20-20”, che comprende la riduzione del 20% delle emissioni di gas serra entro il 2020, insieme al risparmio del 20% nei consumi primari di energia grazie all’efficienza energetica ed una quota minima del 20% di rinnovabile nel mix di generazione per la copertura dei consumi finali.

Nel nostro Paese, per ottemperare agli impegni assunti sul fronte della lotta ai “cambiamenti climatici”, a partire dal 1999, tramite i d.lgs. 79/99 (noto come “decreto Bersani”), sono state istituite le prime forme di incentivazione a favore della produzione di energia da fonti rinnovabili. Fino ad allora l’unica forma di incentivo era costituita dal cosiddetto CIP6, introdotto nel 1992, del quale tuttavia hanno beneficiato anche le fonti tradizionali che rispondevano a determinati parametri tecnici (fonti “assimilate”). In meno di 10 anni l’incentivazione alle fonti rinnovabili tramite certificati verdi, tariffe onnicomprensive, prezzi minimi garantiti, scambio sul posto, ritiro dedicato, conti energia, etc. ha conosciuto un incremento esponenziale ed ha favorito un’autentica esplosione di installazioni di impianti eolici e fotovoltaici (questi ultimi tra i più incentivati). Oggi, nonostante il ridimensionamento degli ultimi 2 anni, gli incentivi alle fonti rinnovabili costano agli italiani circa 13 miliardi di euro all’anno, che gravano sulla bolletta elettrica; gli incentivi alle rinnovabili costituiscono il 90% circa dei cosiddetti “oneri di sistema” ed il 20% circa dei costi totali dell’elettricità per un cliente domestico (fonte dati: Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il servizio idrico). Il mix di generazione nazionale ha risentito molto della “rivoluzione verde” degli ultimi anni. La potenza installata di tipo eolico e fotovoltaico è passata dal valore di 1 MW del 1991 al valore di 24.539 MW del 2012. L’effetto degli incentivi ha favorito in particolare un incremento notevole del fotovoltaico tra il 2010 ed il 2012, quando la potenza installata di tale tecnologia ha quintuplicato il proprio valore superando così i 16 GW (fonte: GSE, rapporto statistico 2012).

Sul fronte termoelettrico, il citato black-out del 2003 ed alcuni provvedimenti immediatamente successivi, portarono tra il 2004 ed il 2008 ad una notevole crescita di installazioni del tipo “ciclo combinato”, alimentate a gas. A fronte di tanta potenza installata (e dei notevoli investimenti fatti) l’esplosione delle rinnovabili incentivate, che godono inoltre della “priorità di dispacciamento” a parità di prezzo offerto, ha tuttavia impedito a queste nuove installazioni, costrette a lavorare un numero di ore sempre inferiore, di ottenere ricavi dalla vendita di energia sufficienti per rientrare nei piani di investimento. Complice anche la crisi economica mondiale iniziata nel 2008, le cui ricadute sull’economia reale (contrazione dei consumi) si sono palesate tra il 2009 ed il 2010, il sistema si è trovato di fatto in “overcapacity” (eccesso di potenza installata rispetto alla domanda di energia da soddisfare) ed a farne le spese sono stati soprattutto i termoelettrici, in particolare quelli di ultima generazione realizzati dopo il 2003. La crisi del settore termoelettrico, attualmente in essere, ha portato note società del settore verso situazioni di grave dissesto finanziario. Il mix di generazione attuale, sulla base dei descritti notevoli mutamenti dell’ultimo decennio, è costituito circa da: termoelettrico 62% (in calo), idroelettrico 12% (stazionario), eolico+fotovoltaico 13% (in aumento), import 12%, geotermico 1% (dati Terna 2012, aggiornati con proiezioni GSE e GME del 2013-2014).

(Segue)

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*Fonte dati: rapporti statistici di Terna

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Comment(1)

  1. Le guerre si fanno con una giusta velocità. Non lente, perché stancano. Non veloci, perché non sono sicure. Fare di tutto per non colpire i civili. Bisogna essere quanti più è possibile. Travolgere il nemico e non aspettare che si organizzi. Si deve combattere e agire con prudenza. Faremo un grande sbarco.

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