L’asse Roma-Teheran ai tempi di Donald Trump

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Abbiamo mai avuto una strategia in politica estera negli ultimi anni, dal 2011 ad oggi? La nostra opinione è no, ma forse è accaduto di peggio negli ultimi mesi, per non dire negli ultimi giorni.
L’Italia ha scelto di seguire pedissequamente le posizioni americane, ma questo è quello che credevamo fino allo scorso 9 novembre, quando l’elezione di Donald J. Trump alla presidenza americana ha fatto emergere un fatto molto più preoccupate del semplice appiattimento italiano sulle pozioni americane di politica estera. Purtroppo Roma si era allineata alle posizioni dell’amministrazione Obama (non sulle posizioni americane), e nonostante a Washington il vento oggi sia cambiato, il Governo della Repubblica persegue le politiche dell’amministrazione democratica che presto lascerà il potere.
Oggi così assistiamo da un continuo e costante avvicinamento dell’Italia all’Iran, ed in parte alla Cina (ma ne parleremo in altra sede), un avvicinamento che ha portato ad accogliere il presidente iraniano con una forma di ospitalità che ricorda quella offerta a Gheddafi dal governo Berlusconi: statue di nudo coperte, niente vino sulle tavole dei pasti ufficiali, nessun contatto fisico con esponenti del sesso femminile, ecc.
Ma questi segni sottintendono molto più di una mal manifestata cortesia. Questi segni mettono in evidenza che l’Italia ritiene l’Iran un paese più importate, e al quale prestare più attenzione, rispetto a tutti gli altri stati della regione, presuppone il fatto che siamo pronti a tutto pur di raccimolare qualche contratto in Persia. Non sarebbe stato più semplice opporsi a delle sanzioni commerciali (come ad esempio quelle contro la Russia) piuttosto che fare i salti mortali per recuperare qualche centinaia di milioni in commesse in terra iraniana?
Potevamo comprendere (anche se non giustificare) questo atteggiamento ai tempi dall’amministrazione Obama, ma oggi osservando la squadra che il presiedete Eletto Trump sta costruendo, è colpevole, coscientemente colpevole, l’atteggiamento di chi spinge stato e privati ad investire in Iran. Perché? Perché presto, molto presto, l’Iran diventerà un luogo instabile, uno stato che sarà costretto a mostrare al mondo intero che non ha alcuna intenzione di rinunciare realmente ai progetti di costruire la bomba atomica, e che non ha alcuna intenzione di fermare lo sviluppo dei missili balistici necessari per rendere efficace il potere che rappresenta possedere l’arma assoluta.
Quando ciò accadrà il paese piomberà nel caos, tutti gli investimenti fatti dall’Italia a Teheran e dintorni saranno spazzati via. Se l’Iran non rinuncerà ai missili balistici e alle ricerche sul nucleare (e non vi rinuncerà), gli Stati Uniti impegneranno il loro potenziale militare contro gli Ayatollah cercando quel “Regime Change” che Obama ha perseguito solo ed unicamente contro la parte sunnita del mondo arabo mediorientale e mai nei confronti della parte Persiana sciita.
Definire oggi Iran e Italia legati da grandi passati (seduti sotto la foto del Grande Ayatollah Khomeini), spingere privato e pubblico ad investire massicciamente (ed alle condizioni degli iraniani) a Teheran, affermare che il ruolo geopolitico dell’Iran è strategico, non è solo un errore di valutazione, è un abbaglio che costerà all’Italia decine di miliardi di euro, metterà in crisi il nostro piano di approvvigionamento energetico, comprometterà ancor di più i rapporti di fiducia di Roma con alleati storici dell’Italia.
Cuiusvis hominis est errare: nullius nisi insipientis, in errore perseverare. Cicerone

Siamo in Iran non solo per fare accordi economici ma perché legati da grandi passati…il ruolo geopolitico dell’Iran è strategico…il vero modo di affermare un’amicizia è quello di lavorare insieme

Matteo Renzi Presidente del Cosiglio Italiano Teheran 13 Aprile 2016