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Libia: il Pozzo degli Incubi

Libia: il Pozzo degli Incubi

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Post del 1 luglio 2015, lo riproponiamo oggi vista la situazione in terra di Libia.

Tunisia, Siria, Irak, Kurdistan, Turchia, Kuwait luoghi e paesi che sentiamo nominare molto spesso nei nostri telegiornali, e i cui nomi vediamo scritti sovente sui principali quotidiani in relazione alla minaccia rappresentata dal Califfato Islamico. Sono paesi importati, nei quali si combattono battaglie e guerre settarie, è corretto interessarsene ma esiste un luogo, un solo luogo, che per l’Italia, per l’interesse nazionale dell’Italia, conta molto di più di tutti questi paesi messi insieme. Questo luogo è la Libia, o quello che oggi ne rimane. 

Della Libia non si sente più parlare, non si sente più parlare nemmeno delle migliaia di persone che ancora oggi, quotidianamente, partono dalle sue coste e raggiungono il nostro paese. Della Libia non si sente più parlare, nonostante essa sia il luogo dove si vincerà o si perderà la guerra contro il Califfato. In Irak e in Siria il Califfato si è identificato come un elemento di unificazione dei sunniti e il suo espandersi è responsabilità del settarismo messo in atto dal Governo iracheno filo iraniano, un governo che ha messo i sunniti ai margini della società, un governo che ancora oggi impiega nella lotta al Califfato milizie paramilitari sciite e non l’esercito regolare. Queste milizie hanno riconquistato Tikrit, feudo sunnita, è quello che in occidente definiamo “liberazione di Tikrit”, per i sunniti è “l’occupazione di Tikrit”, l’occupazione da parte del nemico più odiato, gli sciiti. 

Per questo motivo, prima e più di ogni altro motivo, lo scontro in Irak e Siria continuerà fino a quando una delle due fazioni avrà il controllo assoluto della regione, un controllo che verrà garantito con il sangue e con la violenza, non certo con la democrazia e i voti di un parlamento. 

In Libia però la situazione è differente, esistono varie tribù con interessi differenti, ma non esiste il settarismo religioso che dilania la regione del Golfo Persico. In Libia il Califfato non può nascondersi e sfruttare l’odio atavico che divide Sciiti e Sunniti, ma nonostante tutto, di riflesso ai suoi “successi” militari in Siria ed Irak inizia ad avere seguaci ed una struttura organizzata anche in Libia. Perché quindi non combattere, non affrontare direttamente, il califfato islamico in Libia? Perché l’Italia si impegna nel combattere lo Stato Islamico in Irak mentre non si impegna direttamente in Libia? 

È notizia di pochi giorni fa, grazie ad uno scoop del giornalista de Il Foglio Daniele Raineri, che truppe speciali italiane sono state inviate per combattere lo Stato Islamico in Irak. Si tratta di 30 uomini del 9º Col Moschin, reparto di elitè delle forze armate italiane, uomini che saranno presto raggiunti da altri 50 commilitoni. Come mai i nostri uomini sono mandati a combattere in Irak invece che essere inviati in Libia? Come mai i nostri uomini vengono inviati a combattere (anche in questo caso senza mandato delle Nazioni Unite) in Irak per perseguire l’interesse primario di altre nazioni e non vengono inviati in Libia per difendere gli interessi nazionali italiani? 

A noi risulta non concepibile che si possa dispiegare una nostra forza combattente in teatro di guerra senza che ciò sia in diretto rapporto con i primari interessi nazionali dell’Italia. 

In Irak i nostri uomini rischiano di diventare parte di uno scontro settario che, alla fine, potrebbe risultare nella sostituzione del Califfato con un regime egualmente tirannico, senza considerare le scarse probabilità di successo di un impegno militare così marginale.

Al contrario in Libia, l’Italia e la comunità internazionale, avrebbero la possibilità di avere la meglio sul Califfato, di ristabilire sicurezza e ordine, offrendo alla Libia una speranza di sviluppo.

Quella Libia che, abbandonata al proprio destino anche da chi come noi ha avuto intensi rapporti politici, militari ed economici, si appresta a divenire il nostro “Pozzo degli Incubi”, un paese fallito dalle cui tenebre emergeranno, e emergono già in effetti, le peggiori paure che il nostro mondo contemporaneo non riesce ad affrontare. Paure che non solo spaventano ma che uccidono come il terrorismo, l’estremismo, la violenza che si fa scudo della religione, il traffico di esseri umani, la mercificazione della donna, senza parlare degli emuli nati e cresciuti in Europa che, galvanizzati dall’espandersi del sogno egemonico dal Califfato, non esiteranno a trasformarsi in armi umane votate alla morte, armi umane che oggi colpiscono la Tunisia e domani vorranno colpire il cuore dell’Europa.

La Libia Signori è il luogo dove le nostre truppe debbono combattere, se proprio qualcuno decide che debbano rischiare la vita, e devono combattere per l’interesse diretto dell’Italia, non di altri paesi, o nelle prospettiva di qualche commessa o contratto con Baghdad o Teheran.
Gli eventi dell’Irak possono riverberasi su di noi, è sicuramente una possibilità, ma gli eventi della Libia si rifletteranno sicuramente sull’Italia, e questa è una certezza, non una possibilità. Il Pozzo degli Incubi è aperto, noi lo abbiamo aperto, tocca a noi richiuderlo.

Comment(14)

  1. Obama , il presidente degli USA, ha detto che in libia non c’è una soluzione militare: quindi noi non interverremo MAI lì,MAI, a meno che l’america non cambi idea.

  2. nel link,
    un esercito europeo secondo il nostro generale

    e le radici dell’ isis

  3. According to Adam Mount, a Stanton Nuclear Security Fellow at the Council on Foreign Relations, the announcement which has recently been made by Putin does not actually signifying a significant change in Russian nuclear policy. Mount suggests that Russia is fully compliant with the New START treaty, which limits strategic launches such as ICBMs.

    Russia’s existing nuclear capability is indeed dating owing to its Soviet-Europe vintage. Russia must continue to take delivery of forty new weapons every year simply to replicate the existing capability. This is essentially the explanation for the extra warheads which have been ordered by the Russian president, and doesn’t really represent an increase in the nation’s nuclear capabilities.

  4. “E’ un classico esempio di ciò che i politologi definiscono dilemma di sicurezza: ogni parte ritiene che le sue azioni siano di natura difensiva, mentre le attività dell’avversario sono ritenute offensive. Entrambe le parti sono responsabili della presunta provocazione di un’ulteriore escalation,” — scrivono gli analisti del portale. Quindi si crea un sistema di conflitto che si autoalimenta, che ha più probabilità di degenerare in una guerra, come nella Prima Guerra Mondiale.

  5. Gli Stati Uniti hanno il sogno del ritorno alla guerra fredda, ai grandi blocchi, perché in un mondo variegato non ci capiscono niente, non sanno come muoversi. Gli USA conoscono la geopolitica solamente in un mondo fatto a due, ma, purtroppo per gli americani, il mondo non è fatto a due, soprattutto il mondo di oggi, che è fatto a molti, e non soltanto perché si possano aggiungere la Cina o l’India o qualsiasi altra cosa, ma perché è proprio il mondo delle nazionalità che adesso è più articolato e anche più importante dal punto di vista geopolitico e strategico.

    Questo si che la sa lunga!

  6. Dato che noi non abbiamo autorità sui nostri interessi mandiamo i nostri uomini dove ce lo chiedono altri. E basta.

  7. A proposito di terrorismo, e considerate le mosse della Turchia :

    “[The ISIL] was created with financial and military assistance from Western countries and their allies to eliminate the Bashar al-Assad government,” said Anatoly Antonov in a Tuesday press briefing in St. Petersburg following a summit of defense ministers from member states of the Shanghai Cooperation Organization (SCO).

    “We are particularly concerned about the formation of the terrorist quasi-state entity [ISIL] in Iraq and Syria,” Interfax news agency quoted him as saying.

  8. Della riapertura delle ambasciate cubane e americane nelle rispettive capitali non dite niente?
    Ne abbiamo parlato su Facebook e Twitter

    1. Tanto è solo una mossa strategica, non di amicizia o buone relazioni con Cuba

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